Anilla, di Andrea Quadrani


Era lì davanti a me a gambe aperte, il petto che fino a poco prima si muoveva su è giù, in maniera provocatoria, era fermo; il faccino piegato leggermente a destra era immobile; l’occhio sinistro puntato su di me, anche adesso mi osservava con una punta di delirio sul fondo. Il delirio degli ultimi momenti di vita di quel bel corpo che mi aveva dato delle belle soddisfazioni. Ora non sapevo che fare, come agire; non ero pronto alla fine così repentina, al dopo ero pronto, oh si che ero pronto, ma la traghettata tra la morte ed ora, mi aveva come fulminato e stordito ed ero là inebetito che guardavo queste gambe aperte. Un pensiero mi passò veloce per la testa; cosa stavo pensando, ero proprio un laido pazzo a pensare a certe cose adesso… e prima non ci avevo pensato già?
Tante volte sì è vero, ma non ci avevo dato tanto credito, avevo tirato dritto con i miei pensieri, seppellendo nel mio io profondo tutto il resto. Che porco! Come moltissimi  uomini; ero quindi in buona compagnia. Ma gli altri non erano qua ad aiutarmi adesso; dopo mi sfotteranno alla grande, mi diranno: dovevi fare così, dovevi fare cosà, bella forza! Le sento già le loro voci gracchianti, loro e delle loro fresche compagne di vita; ma io non mi faccio mica intimidire da quattro stronzi; ne ho fatte di cotte e di crude riuscendo sempre nell’impresa. Riuscirò anche stavolta e tra grandi onori prenderò i loro soldi!
Intanto sono qua davanti a queste gambe aperte; in mezzo la sacra apertura pare che mi guardi e mi sorrida; che cazzo guardi, che cazzo sorridi. Non è stata completamente colpa mia, è stata anche colpa tua; dovevi essere più avveduta, pensarci, tentare di sottrarti ad una fine così feroce, scappare, magari ci saresti riuscita, con quelle belle gambe, ed invece no! Quindi la colpa è anche tua! Potevo prendere qualcun’altra e tu saresti stata libera e felice di fare quello che volevi; potevi eccome se potevi; invece guardati là riversa con il tuo dolce collo profanato dalle mie mani indecenti, il tuo corpo profanato dai miei sguardi lascivi, la sacra apertura profanata dalle mie mani unte. Non pensavi potesse accadere, invece è accaduto e come il rituale aberrante di una messa nera, stai per essere sacrificata all’altare della cupidigia e fame di sangue. Io sono il sacerdote del sacro rito e pur avendo con le mie mani, procurato la tua fine, sfiorando il tuo collo e poi stringendo, stringendo, fino a farti perdere conoscenza e poi la vita, non mi sento poi tanto colpevole; quanti di questi crimini accadono ogni giorno nel mondo? Tanti! E gli altri sacerdoti del male pensi che abbiano rimorsi o dolori? No! Ti assicuro di no; loro vanno per la loro strada e se ne fregano di te e di tutte quelle come te! A loro interessa solo la sacra apertura, ed il piacere che può rendere agli altri ed a loro; un piacere difficile da spiegare, eppure così semplice da realizzare, anche se a volte ai più appare complesso e particolare. Tutti noi ci rifacciamo a testi precisi antichi d’anni che spiegano tutto; ognuno di noi può però metterci del suo in questo gioco mortale e selvaggio, in modo che il godimento di tutti, possa pian piano trarre giovamento da nuove e particolari idee, che sfociano dalle nostre menti aberranti.
Io invece seguo un testo a me caro. L’ho davanti aperto alla pagina giusta. Guardo quindi per l’ennesima volta la sacra apertura e leggo dal sacro libro le righe a me care dal titolo:

“ Come fare la gallina ripiena; modi ed utilizzi del ripieno; come sopprimere l’animale; come infilare il ripieno”.


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