Galeotta fu la cena..., di Andrea Quadrani
Sono stato
sempre un patito delle “cene a tema”. Quelle serate particolari in cui si
degustano vini e cibi abbinati fra loro in modo da esaltare i gusti, favorendo
i partecipanti e i loro portafogli.
Non me ne
perdo una. O meglio, cerco di andare a tutte, anche se l’impresa è molto più
difficile di quello che si pensi: anche nelle piccole città, capita che ce ne
siano più d’una la stessa sera.
L’autunno di
qualche anno fa, seppi di una cena con i vini di una famosa azienda agricola
toscana; vini mitici in abbinamento a un menu di cibi toscani, organizzata in
un bellissimo ristorante nel vicentino. Era una piccola locanda immersa in un parco, su dolci colline in
un’atmosfera rilassante, costituita da due costruzioni; antiche ville del
settecento; una adibita a ristorante ed una a locanda con poche stanze. Il
giardino semplice e ben curato, esprimeva una magia di tonalità verdi ed era arricchito
dalla presenza di una piccola piscina. Altri ‘piccoli’ particolari, come
l’assenza di televisori nelle stanze e il silenzio incredibile quasi monastico
(impressione mia abituato al rumore cittadino), suggerivano quel luogo come
meta di fughe. Fuga di riposo pensavo, dato che venivo da un periodo veramente
stressante, anche se la sera il fascino delle luci gialle soffuse dei lampioni
e la leggera nebbiolina sempre presente in quella stagione, facevano venire in
mente più una fuga romantica.
Decisi che
quella cena non poteva sfuggirmi.
In quel
periodo compiva gli anni una mia cara amica, Claudia; gli telefonai proponendole
la cena come festeggiamento della ricorrenza e lei accettò. Claudia era proprio
un’amica fedele a questo tipo di iniziative; gli piaceva mangiare e bere bene,
un’autentica buongustaia.
Una bella
donna oltretutto, che conoscevo da parecchio tempo, una cara amica.
C’era una
fastidiosa nebbia a banchi che rallentò parecchio il nostro arrivo, ma non
eravamo i soli a essere in ritardo.
Dopo aver
attraversato il sontuoso cancello d’ingresso, parcheggiammo la macchina e
avanzammo verso il ristorante in un silenzio irreale; rotto solo dal rumore dei
nostri passi sul ghiaino del piazzale, dal parlottare sommesso e già da qualche
risata, che provenivano dal primo piano, dove il padrone del ristorante
dispensava sorrisi e spumante a tutte e tutti.
Salendo le
scale si avvertivano l’amore e il gusto che avevano spinto il padrone di casa a
restaurare la villa di campagna di famiglia e trasformarla in quest’accogliente
Locanda.
Dopo lo
spumante di benvenuto ci accomodammo nella sala da pranzo principale, la più
grande della casa con le pareti affrescate e un bel camino acceso, in cui
sfavillavano le braci. Sei grandi tavoli rotondi apparecchiati con eleganza: tovaglie di lino
bianche con fiori colorati come centrotavola; piatti di porcellana e bicchieri
di cristallo; posate e sottopiatti in argento.
Il padrone di
casa, guardandosi attorno ammiccante, iniziò la presentazione dell’azienda vinicola
ospite. Mentre parlava, posai gli occhi su Claudia: era bellissima e stava
bene; era a suo agio, come se tutto ciò che la circondava fosse in sintonia con
lei. Era un suo pregio, il sapersi adattare e qualsiasi ambiente e situazione con
naturalezza. La sua bellezza la aiutava in questo e, soprattutto, i suoi
seducenti occhi castani e verdi, ammaliavano chiunque incrociasse il suo sguardo.
Compagni
d’avventura al nostro tavolo erano: un cuoco specializzato in dolci e sua
moglie, una coppia d’industriali conciari della zona e due ragazzi del paese.
Ringraziato il
padrone di casa, il titolare della cantina iniziò a illustrare i vari vini e le
loro caratteristiche; mentre snocciolava dati e misure di botti, pensai di dare
un’occhiata al menu. Per fortuna! Solo leggendolo, avrei potuto ingrassare di
dieci chili almeno. Lo posai sul tavolo e incontrai la mano di Claudia che si
spostava alla ricerca del menu anche lei; che mano morbida e forte insieme! Era
esperta in massaggi rilassanti, veramente una maga. Prese in una mano il menu e
con l’altra si trastullava con un pezzo di pane.
L’uomo del vino
continuava nel frattempo con la spiegazione e, per fortuna, era quasi alla fine.
Lei guardando
il menu, con la testa lentamente assentiva pensando alle portate in arrivo, poi
si girò verso di me:
“Ce la faremo
a mangiare e bere tutto, e poi tornare a casa?”.
“Mah, c’è
sempre la locanda”, mi sentii rispondere.
Finita intanto
la presentazione dei vini e dopo i giusti ringraziamenti, il proprietario della
locanda, usando una piccola campanella di argento fece iniziare la cena; anche
perché nonostante il camino fosse acceso da qualche tempo, nella stanza dove
eravamo, si sentiva ancora molto freddo. Lo scorrere dei vini nei cristalli, e
l’inizio della degustazione aiutò.
Alcuni
mangiavano, altri sezionavano e annusavano annuendo, altri sostavano tra un
boccone e l’altro come a cercare di catturare un’emozione, altri lodavano gli
abbinamenti. Anche nella nostra tavola le sensazioni, i profumi, gli sguardi,
il sapore, il calore, persino i pensieri, si spandevano sempre più; la
conversazione andava di pari passo alle portate come in una danza.
Ogni cosa
aveva assunto i toni di una simpatica competizione: una gara tra noi che
svuotavamo il contenuto di piatti e bicchieri, e i camerieri e il sommelier che
portavano e riempivano e ancora, ancora e poi ancora.
Dopo un tempo
indefinito, ma certo lungo, eravamo ormai strapieni e alticci per dire e
pensare frasi prive di senso o con troppo senso. Quello che accade spesso in
codeste situazioni, dove ci si divide tra il parlare e il non farlo. Chiusi o
aperti in mille pregiudizi e in molti dubbi. Dove ci si sentirebbe liberi,
perché le circostanze, loro sì, hanno aiutato e ci hanno portato, dove volevano.
Loro sì che fanno sempre il loro dovere. Poi resterebbe a noi, continuare
l’esercizio. A volte non si può, a volte non si deve…sensibilità diverse che
spremono e tirano.
Alla fine ci
fu un grande scambio d’indirizzi e numeri telefonici; con le promesse,
difficilmente da mantenere, di ritrovarsi in qualche altro posto a mangiare e
bere per cercare di ricreare ancora quella magia, quegli attimi. Sapendo bene
che l’eternità è fatta di attimi. Sta a noi viverli intensamente o morirne.
Alzandoci
dalla tavola, ci salutammo con l’affetto che viene spontaneo dopo una forte
esperienza. Saluti e baci a tutti. Ora, ora però, bisognava partire per
tornare. Non mi sentivo molto sicuro e mi girai verso Claudia:
“Senti, non ce
la faccio a guidare, te la senti te?”.
“Anch’io, un
attimo Andrea…che cerco di capire…”.
Muovendosi in
tondo, barcollò per un istante. Era evidente: nemmeno lei era in grado di
condurci via da là.
Ci parlammo
con gli occhi brevemente e mi avviai lesto a cercare, in mezzo a tutte le anime
presenti, errabonde nella sala, il proprietario della locanda. Tornai poco dopo
da Claudia col suggerimento.
“C’è una sola
stanza libera, con due letti; tanto è per una notte!”.
“Non c’è
problema, col sonno che mi ritrovo, dormirei ovunque.”.
Scendemmo le
scale della palazzina adibita a ristorante e attraversando il piazzale, ci
dirigemmo verso l’edificio con le stanze da letto. La notte era splendida. Luna
e stelle stendevano un manto bianchissimo e lucente sulle colline intorno a
noi.
Sulla porta ci
aspettava il portiere della locanda; salutandoci con un piccolo inchino ci
diede la chiave della stanza.
Barcollando e
tenendoci l’un l’altra, tra risatine e piccoli spintoni, ci avvicinammo alla
porta. La chiave ebbe qualche esitazione ad accomodarsi nella toppa. Poi
entrammo.
La stanza
appariva grande. La luce della Luna aiutava la visione. Tenendo Claudia per una
spalla, accesi le luci e…: silenzio assoluto tra noi. Ci girammo a guardarci
lentamente e altrettanto lentamente riguardammo all’interno. Risilenzio.
Poi uscì da
noi una risata sommessa e canterina, partita da Claudia e arrivata a me. Le
risa aumentarono sempre di più mentre ci avvicinavamo a un bellissimo,
coloratissimo di verde e comodissimo letto matrimoniale!
Facemmo una delle
più belle dormite della nostra vita, abbracciati da grandi amici.
Commenti
Posta un commento