Dolore, di Andrea Quadrani
Illuso e disilluso nel cercare un punto
d’approdo in questo mare di anime frementi, cerco sempre più di non cadere nell’ovvio
del pensiero e della parola. Schermi vitrei con storie millenarie che si
susseguono e si penetrano. Parole al vento, perché solo il vento può portarle
lontano, là, nella loro destinazione; come barche con vele solide e rigide di
speranza. Non voglio, e sempre più non riesco, a pensare altro che al mare che
mi prende, al vento che mi trasporta, al tempo che mi lega alla vita che scorre
sotto e dentro di me. Nel barlume di momenti sereni. Nel frastuono di colori
sempre più ostici per i miei occhi. Anime celesti intorno, accanto, sopra,
sotto, dentro. Cercano fin nelle viscere dell’universo le risposte a mille
domande. Lottano per avere qualcosa e vincono in continuazione il fato e il
destino. Nulla le sottrae a questo. Eppure sento forse di non essere degno
neanche di questo feroce amore che vibra intorno a me. Che compensa anni di
carestia. Che mi uccide ogni giorno e ogni giorno mi resuscita e mi rigenera.
Unione di foreste bruciate e terre riarse. E là in fondo prati verdi con
rugiada e freschezza. Colori pastello nel cielo e nel mare. Animali e anime
insieme verso la Via. Sogni e deliri che si uniscono e fanno vacillare tutto il
marcio e lo scempio dell’anima. Tramonti rossi d’invidia rendono l’aria meno
appagante del solito, anche se il solito non esiste più. Macchine urlanti
spostano anime e cose in cerca di pace. Animali solitari invocano gli dèi. Le
stelle nelle notti indicano la rotta e spostano la meta. Sempre più in là.
Sempre più in là.
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