Esperienza (dedicato a Elena, Grande Amore della mia vita), di Andrea Quadrani
Ero
andato a trovare la mia ragazza al lavoro. Non c’ero ancora mai stato. Non che
non mi andasse, che fossi turbato, che fossi imbarazzato o altro, no, però mi
faceva un certo che. Ed era lei che aveva tanto insistito che andassi a
trovarla. Quando mi disse che finora, tutti quelli con cui era stata, non l’avevano
mai fatto, mi decisi al passo. Presi l’automobile e guidai sicuro fin fuori del
capannone. C’era già un certo via vai di persone. Molti uomini giovani e molte
ragazze. Qualche camion era già arrivato e da esso si scaricava ogni genere di
apparecchiatura per foto e riprese. Feci qualche passo verso una porta, che
pareva l’entrata principale, di un grosso edificio, modello capannone industriale;
due ragazze molto bionde e molto svestite, si avvicinarono a me e quasi
all’unisono mi chiesero se ero il ragazzo di Elena. Alla mia risposta di sì,
iniziarono a tubare dicendo entrambe che ero carino a venire a vedere Elena al
lavoro; è molto brava sai, affondarono. Deglutii un groppo di saliva e un
filino di sudore scese dalla capa calva. Mi aprirono la porta in modo
canzonatorio, ma non cattivo, e una delle due mi fece anche la riverenza
sorridendomi. Entrammo.
C’era
un bancone con dietro attaccata a un telefono, una ragazza mora con i capelli
corti e un vestito bianco, lungo e un po’ trasparente. C’era una fila di sedie
alla mia destra, e alla sinistra una grande porta rossa. Ancora più a sinistra,
una porta sempre rossa un po’ più piccola, che appena la guardai, si aprì.
Apparve Elena, radiosa come sempre, con un accappatoio bianco e cuoricini rosa
(un mio regalo); appena mi vide, mi sorrise e con l’indice della mano sinistra
indicò più volte la porta rossa, mentre la mano destra, mi faceva segno di
seguirla.
Dietro
di lei c’era un ragazzotto aitante vestito di gessato grigio, e un tizio
bassotto e sudaticcio in jeans, maglietta e un grosso paio di occhiali rossi
sulla fronte. Elena si rivolse un attimo verso di lui e gli disse:
-
E’ il mio ragazzo, può entrare vero?
Il
tizio si girò verso di me e mi squadrò, mentre Elena e i due ragazzotti
passarono la porta rossa grande e sparirono in un ambiente nero.
Restai
un attimo titubante e, quasi quasi, me ne stavo per andare, quando mi resi
conto che il tizio continuava a osservarmi con insistenza. Poi si avvicinò
sicuro, e stringendomi la mano, che gli diedi con una lieve esitazione, mi
trascinò attraverso la porta rossa grande, inondandomi di parole:
-
Sono contento di conoscerla sa? Elena mi ha parlato tanto di lei è così
contenta quando ha saputo che veniva qua ti posso dare del tu poi se vuoi
parliamo un po’ hai mai recitato…
Alle
ultime parole, mi girai a guardarlo trasognato, facendo no con la testa.
Sembrava
che pensasse completamente ad altro quando mi lasciò la mano, dopo avermi fatto
sedere su una poltrona nera molto morbida e comoda.
Ero
in un ambiente molto grande. Non si vedeva il soffitto; s’intuiva che era molto
in alto. Il colore dominante era il nero. Alla mia desta e sinistra c’erano
altre poltrone nere, senza nessuno seduto. Ero l’unico ospite. C’era invece
parecchia gente in piedi d’attorno a fari, cineprese, microfoni. C’erano due
fotografi con grosse macchine fotografiche in mano. Guardando meglio a terra,
c’erano cavi e tubi ovunque. Uomini, macchine e respiri, erano tutti rivolti
verso un enorme letto che pareva a sei piazze, distante da dove ero io una
decina di metri, e illuminato a giorno di sole forte.
Il
tizio bassotto si diresse su una poltroncina e appena si sedette sopra, la
stessa si alzò di circa un metro e mezzo. Elena stava parlando con uno dei
ragazzotti. Adesso era vestita con una gonna bianca, e una camicetta rossa e
blu. Da lontano mi fece il ‘pollice verso’ e subito dopo riecheggiò forte la
voce del bassotto:
-Azione!
Elena
e il ragazzotto si avvicinarono mano nella mano al letto. Si sedettero sopra,
proprio davanti a me e iniziarono a toccarsi sorridendo e parlando.
O
ero troppo distante, o parlavano troppo piano, io comunque non sentivo nulla.
Guardando meglio, vidi che muovevano solo le labbra, senza emettere suoni. Mi
spiegarono dopo, che in seguito sarebbero stati doppiati.
Il
ragazzotto, su suggerimento del bassotto che da lì in avanti accompagnò tutte
le azioni con rapidi ordini, affondò la testa tra le gambe di Elena, esplorando
e leccando il più possibile. Sembrava volesse penetrarla con la lingua. Dopo
qualche minuto in quella posizione, si alzò e infilò la lingua nella bocca di
lei. Era già bello eccitato. Lei se ne accorse, si staccò dal bacio e girandosi
con destrezza lasciò una traccia bagnata nell’aria; lo prese in bocca con
grande naturalezza e iniziò un pompino eccelso; era un’artista, si sapeva.
La
scena, dalla mia posizione si vedeva non tanto bene un po’ per la distanza e un
po’ per la gente davanti che lavorava.
E
la mia inquietudine cresceva.
Intanto
lui si tolse da lei e poi quasi con eleganza, la prese da dietro penetrandola
nell’ano che prima aveva preparato con la lingua; lei ebbe un piccolo mugolio
di piacere, che crebbe sempre di più diventando un assurdo ululato. Più lei
urlava più a lui pareva piacere, e usciva ed entrava con pause sempre più
lunghe. Dopo un certo tempo, che a me parve troppo lungo, dentro e fuori,
dentro e fuori, lui si distese con il membro eretto in modo straordinario e lei,
con la solita naturalezza s’impalò con il fallo. Mentre scendeva per il primo
movimento, emise un fischio stranissimo, che per un brevissimo istante fece
calare l’erezione al ragazzotto, creando al contempo un momento di suspense in
tutto lo studio. Per fortuna, si riprese subito, iniziando ad ansimare insieme con
lei, con una certa metrica sensuale mentre penetrava la rosa carne umida.
Io
dal canto mio ero molto agitato e mentre da un lato volevo andarmene, qualcosa
mi teneva là sulla poltrona nera.
Il
movimento ascendente era interminabile ma, al solito ordine del bassotto, si
misero nella posizione detta ‘alla pecorina’; lei però, nello spostamento di
corpi, si riprese in bocca il fallo ciucciandolo con particolare ardimento.
Il
regista non era contento di questo cambio non voluto da lui, si vedeva, ma fece
segno di continuare.
Elena
pareva che si fosse calata nella parte fin troppo bene. Tanto che il
ragazzotto, quasi bianco nel tentativo di resistere, venne troppo presto, in
maniera per fortuna controllata. Lei ebbe un’espressione di sorpresa, e staccò
la bocca appena in tempo per avere un fiotto bianco solo sul viso. Lo prese
subito in mano e leccandolo con arte lo eresse di nuovo al punto giusto.
Io
chiusi un attimo gli occhi. Mi girava un po’ la testa. Li riaprii sperando, ma
erano ancora tutti là intenti
in
una pecorina importante; il ragazzotto era tornato rosa e la penetrava con
assoluto vigore mentre lei fingeva di
godere con ardore, gridando da impazzire e agevolando i movimenti con colpi
rapidi del bacino.
Adesso
anch’io sulla poltrona nera, vedendola muoversi così, iniziavo a eccitarmi
sempre di più e anche a vergognarmi sempre di più.
Erano
ormai alla fine. Due ore erano passate dall’inizio. Decisamente sfiniti, e si
vedeva. Il regista pareva contento e urlava ordini precisi su come continuare.
Ordini
che arrivavano alle mie orecchie e rimbombavano dentro la mia testa.
Elena
si girò e si mise davanti a leccargli le gambe mentre le mani toccavano il
sesso eretto. Il ragazzotto chiuse gli occhi e in un attimo, che parve
veramente eterno, ebbe un orgasmo incredibile, sul suo viso e sul suo seno. Poi
si baciarono e leccarono ancora qualche istante. E si fermarono sfiniti.
Io
iniziai a bisbigliare tra me: …‘è finita…’.
Elena,
si vedeva era un po’ provata. Sognava certamente la doccia. Il riposo.
Un
urlo pazzesco proveniente dal bassotto bloccò, come un fermo-immagine, i sogni
di noi tutti. Attori, tecnici ed io lo guardammo straniti.
Era
in piedi, rosso in volto, davanti all’operatore di ripresa, e gridava gridava:
-
Non sai lavorare! Non c’è la bobina dentro, pezzo di stronzo!
Era
rabbioso. Si rivolse a me gridandomi di rimanere immobile lì che mi mandava
qualcosa da bere. Disse ai tecnici di prepararsi. Guardò i due sul letto e
indicandoli sibilò:
-
Doccia e poi la rifacciamo!
Io
mi rannicchiai nella poltrona rifiutando il calice di vino arrivato veloce…
Ma... E il secondo ragazzotto? Che fine ha fatto? È rimasto in panchina? Neanche un minuto di gioco? Io, fossi in lui, mi incazzerei non poco. E ricordati: lui sa dove abiti.
RispondiEliminaDistinti peti,
roto
Eh, ma qui si bara... Ragazzotti che spariscono così dalla trama. O magari Ramazzotti... Mhhh... Dici che quello riesci a cancellarlo?
RispondiEliminaAlcolici rutti,
roto