Il bigliardo, di Andrea Quadrani
Era tutta la
sera che giocavamo e bevevamo. Giocavamo a quel tipo di gioco da tedio al panno
verde, detto all’Americana, con tante palle colorate e una bianca a dettare il
ritmo. Bevevamo quella birra scura irlandese adatta al tempo e all’umanità.
Era la
situazione giusta per giocare a bigliardo tra amici e a chi lo stava per
diventare. Fuori: piovosa, umida, con una fastidiosa nebbiolina e delle
continue bavette gelide, di quelle che ti trapassano le ossa e ti fanno sentire
vecchietto, anche se lo sei già. Dentro invece, c’era il sano calore della
umanità, degli odori della cucina, dei profumi degli esseri umani, accompagnati
da qualche canzone eseguita da un gruppo di sfigati, che ogni sera si
ostinavano a suonare. Poveretti ce la mettevano tutta anche. Risultati scarsi.
Ognuno di noi
aveva un tetto, alcuni un lavoro, qualcuno la donna e tra un tiro e l’altro,
non si faceva che ricordare il tempo passato, della dannata giovinezza in cui
tutto era permesso. Ora, ognun per se e biliardo per tutti una sera al mese, all’occorrenza
anche due. Grandi discorsi seguivano le scie delle biglie colorate. Solo in
quelle sere c’era il permesso di sognare e di poter cambiare.
Ma perché
cambiare se tutti facevano così? Se andava bene la vita che facevamo, perché
volere cambiare? A che scopo? Per essere degli eroi, per distinguersi dagli
altri? Magari con una punta di egoismo, per pensare addirittura a se stessi?
A rompere il
treno di quesiti di esistenza, accadde a un dato momento che si creò un po’ di
trambusto dietro il bancone, e l’oste, un po’ alticcio, esclamò a voce alta che
era l’ora, e bofonchiando chissà cos’altro, coperto dalla panza e dal suo
essersi accucciato sotto il bancone, tirò fuori un pacco arrivato, biascicò, il
giorno prima. Era stato mandato da un amico che non vedeva da molto tempo, ma
che in un modo o in un altro si ricordava di lui. Lo mise sopra il bancone. Ci
avvicinammo; alcuni per la curiosità e altri per fare il’pieno’. Lo aprì velocemente,
distruggendo la carta che lo avvolgeva. Apparve una targa dorata con una
scritta in rilievo.
E’ un pensiero
di un certo Henry Miller un grande scrittore americano! Ci disse con fare
erudito l’oste, senza badare troppo alle risatine che si avvertirono qua e là.
C’era scritto:
"Basta avere un tantino di pazienza ed aspettare. La
vita ti scova nei posti più strani e reconditi. E te ne capitano di cose!"
Dopo qualche
istante che parve senza fine, e mentre ad alcuni spuntavano già irrituali
lacrime che parevano di emozione, crebbe da ognuno di noi, un singulto per
alcuni, uno spasmo per altri; crebbero crebbero queste manifestazioni con tale
forza da parer venire anche dai muri e persin da fuori, dal mondo esterno;
arrivati all’apice e ballando con le lacrime che sgorgavano ai più, si sciolsero tutte in una vibrante e potente risata.
Uno sfogo amaro di birra e di anni. Con le risa che vibravano ancora nel cuore
e nella testa, tornammo a far girare le biglie.
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