La goccia, di Andrea Quadrani


Ero disteso a letto a contemplare un perfetto temporale estivo e mentre sentivo la pioggia mista a grandine tintinnare sulle mura di casa, pensavo alla goccia che da qualche ora sviava i miei pensieri cadendo da qualche parte nel mio appartamento. Era iniziato tutto questa mattina presto, nel silenzio che precede il vivere generale. Ero disteso come lo sono adesso e iniziai a sentire, tic, tic, tic, tic, senza possibilità di capire da dove veniva quel flebile suono. Mi alzai e iniziai a esplorare la casa. Ogni tanto mi fermavo ad ascoltare. Avvertivo di nuovo il suono ma, niente; niente di niente. Con l’aumentare del rumore esterno, il tic-tic, scomparve, ma non del tutto, c’erano dei momenti in cui lo sentivo bene altri meno. C’era in ogni caso sempre e il tutto cominciava larvamente ad assillarmi. Avevo controllato ovunque; la mia casa era piccolina, quindi erano pochi i posti da esplorare, ed essendo le possibilità poche, erano tante invece le mie preoccupazioni. Tic tic tic, anche adesso. Il mio cervello incominciava a valutare la possibilità, che non fosse dentro casa, ma magari nell’appartamento a fianco o nel sottotetto; certo che in alcuni momenti era veramente molto forte, molto vicino. Cercai di concentrarmi nella scrittura al computer, con il portatile appoggiato alle mie ginocchia e in poco tempo riuscii a scrivere qualcosa di decente, oltre che farmi una partitina a biliardo, uno dei miei giochi preferiti. Tic, tic, mi pareva quasi non fosse più reale, che scaturisse dal mio cervello, che fosse ormai frutto della mia immaginazione, che fosse lo scotto di qualche mio errore passato da pagare. Iniziavo a innervosirmi e la cosa mi faceva pure incazzare, innervosirmi per una goccia che cade. Tic, tic, tic, che cosa avevo fatto perdio, per meritare questo? Perché mi succedeva questo? Cosa nascondeva e significava quest’alienante tic-tic? Tutte domande assurde per avere risposte altrettanto assurde. Dovevo uscire da là, prendere un po’ d’aria, anche un po’ di pioggia se necessario, ma mi blocca il pensiero che, dopo la boccata di libertà, sarei tornato dal mio tic-tic. Stesi un poco le gambe e finalmente vidi il responsabile della tortura liquida: un quadro ad olio verde e nero, da poco regalatomi da una donna, stava perdendo il colore nero, goccia su goccia. Mi alzai lentamente per vedere se la caduta dell’olio, avesse danneggiato il mobile sottostante. Non si era rovinato, ma, proprio sotto l’opera, si era formata una scritta ormai quasi completata che recitava:
Non ti meriti la mia arte. Hai attaccato la tela al muro nel verso sbagliato!
Feci un solo passo indietro e guardai l’opera. Sì, aveva ragione quella benedetta strega! Domani avrei girato il quadro, ormai il tic tic mi era gradito.

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