Ratto, di Andrea Quadrani

Bellissima, strausata e sensuale. Quando la guardavo, capivo perché me ne ero innamorato. Quelle braccia contorte, lisce; quelle gambe seducenti; quel ventre che conteneva le meraviglie della natura e che le esponeva così bene agli occhi degli altri. Come quando passai quel giorno e la vidi per la prima volta, anche se era stata spesso davanti ai miei occhi; quante volte avevo camminato su e giù per quel ponticello guardando nella sua direzione e mai vedendola realmente, ma soltanto intuendo, che lei era lì, magari coperta da altre sue simili. Una vera maledizione. Non riuscivo a togliermela dalla testa. No, proprio non ci riuscivo. Stavo impazzendo, doveva essere mia. Problemi però a non finire, per riuscirci. Era molto nascosta e non facilmente raggiungibile senza farsi notare. Dovevo pensare a un modo di farlo e dovevo farlo anche velocemente perché avevo saputo che, presto, se ne sarebbe andata con altra gente e sarebbe sparita dai miei occhi e dal mio cuore. Non potendo averla con mezzi leciti, pensai al rapimento. Pomeriggiotempo presi a camminare lungo l’argine, dalla parte opposta da cui la vedevo giornalmente. Man mano che avanzavo, attento a non cadere dal camminamento scivoloso a poca distanza dall’acqua, la vedevo avvicinarsi sempre più; sempre bella, a quell’ora era addirittura radiosa; il sole la colpiva e mi spediva dritto negli occhi la sua visione meravigliosa. I suoi colori. Ahh che contemplazione. Una bellezza, e tra poco sarebbe stata mia, mia per sempre. Arrivai sotto di lei. Non era tanta la distanza tra noi ma sentivo il suo calore e il suo odore. Mi alzai il più possibile con i piedi a punta da ballerina e le mani protese verso il paradiso. Mmmmancava proprio poco. Fremevo tutto, sia per la tensione dello sforzo per raggiungerla, sia per uno strano piacere che sentivo nell’esserle vicino. Un piccolo sforzo ancora, dai. Sì ecco dai ce la faccio; sono riuscito a sfiorarla. È stato un lampo un momento e mi sono sentito bene! Torno nella posizione normale e mi guardo intorno. Nessuno ha notato i miei sforzi, nessuno mi ha visto, tranne lei. Sottile piacere condiviso. Cerco intorno a me qualcosa per salire di più; una piccola trave di legno giace a poca distanza, la prendo, è lunga abbastanza; la spezzo in due cercando di fare meno rumore possibile. Crac, si spezza e i due pezzi sommati me la fanno raggiungere. Li metto a terra; sono stabili sì, ci salgo sopra e riprovo le mosse di prima. Arrivo a toccarla meglio. Mmmm, toccarla mi procura un fremito, alzarla e staccarla un brivido di piacere, nel fare in contemporanea, due cose peccaminose. La afferro meglio e la svuoto degli assurdi oggetti che la riempono; tra le mie mani è ancora più bella; una perla metallica tutta per me; purtroppo mirarla e rimirarla troppo a lungo mi è fatale, sopra di me una voce stridula, spezza il momento idilliaco che si era creato, e maledetta, urla tutto il suo livore.  Mentre cerco di scappare con la mia amata sotto il braccio, sento dietro di me: 
“Al ladro, al ladro di fioriere!”. 

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