L'artista, di Andrea Quadrani
Sono nato in un piccolo e povero paesello
non lontano da Firenze. Sono frutto di quello che si chiama in termini spicci,
bottarella. Una relazione illegittima tra mio padre notaio e mia madre
servetta. Al mio battesimo non c’era nessuno dei due. Poi mio padre si sposò
legalmente con una donna agiata di Firenze. Mia madre fu fatta consolare con un
contadinotto del paese, soprannominato: l’attaccabriga. L’educazione me la
diedero soprattutto, mio nonno, mio zio e il prete che mi battezzò. In tre così
diversi, non si mettevano mai d’accordo su cosa e come farmi compiere o dirmi.
Così non solo iniziai a scrivere di mano mancina, ma quando potevo, facevo dei
bei disegni della campagna intorno alla casa. Oppure giocavo insieme al mio
patrigno alla ‘borsa di ventura’, un gioco di scommesse a base di numeri, che a
me piaceva tantissimo. Spesso iniziavo un’attività che mi era insegnata e
subito la abbandonavo. Mi sentivo in continuazione in cerca di qualcosa di
diverso. Non che non ascoltassi gli insegnamenti o non ci credessi. Era come se
volessi apprendere più cose e più velocemente degli altri. Quando avevo circa
sedici anni, tutta una serie di lutti familiari e contese per le varie eredità,
mi portarono a vivere in centro a Firenze. Continuando e anzi affinando, questa
mia voglia di apprendere, mi mandarono in una bottega di un noto artista che
all’epoca era la più importante della città. Qui con altri allievi simpatici e
vogliosi di imparare, m’insegnarono di tutto: pittura, scultura, disegno,
carpenteria, meccanica, ingegneria e architettura; quando tornavo a casa, lungo
la via, pensavo anche in continuazione alle stelle e ai numeri. Era un modo per
fantasticare e mi rendeva felice. Poco più che ventenne mi approcciai ad un
anziano astronomo di nome Paolo, conosciuto in bottega e per quattro anni mi
dilettai di fisica, geografia, anatomia e ovviamente astronomia. Con
quest’ultima iniziai a raggiungere le mie soddisfazioni intime, giacchè
riuscivo a capire di stelle e pianeti. Quelle pratiche erano aiutate da mio
padre, ricchissimo e dalla mia bravura a eseguire tutte le opere, in tutte le
arti che m’insegnavano. Di notte nei miei sogni, tante cose giravano intorno a
me come una danza: tappeti, eccellenza, sculture, legni, apprendimenti e,
numeri tanti tanti numeri. Il significato di quei sogni allora non lo capivo.
Ma adesso… andiamo però con ordine.
Verso i trent’anni andai a Milano come
ambasciatore delle eccellenze fiorentine. Dovevo rimanerci poco tempo ma dato
che la città all’epoca era una delle più popolose d’Europa, pensai bene di
rimanere là ad apprendere qualcosa in più anche della vita. Più di dieci anni
mi ci vollero. Ero e sono, infatti, un genio, ma un talento un po’ lento
nell’apprendimento, anche se poi sono i risultati che contano. I miei lavori
erano talmente soddisfacenti che da Milano, per un’altra decina di anni, girai
l’Italia per conoscerla meglio e scoprire meglio me stesso.
Poi mio padre morì lasciandomi
niente in eredità, con la scusa, oltre all’illegittimità, che ero il primo di
dodici fratelli e che quindi potevo ben badare a me stesso. Mi organizzai allora
e mi concentrai nella costruzione di
solide macchine volanti, che potessero portare cose o addirittura uomini. I
soldi però iniziarono a scarseggiare e dovetti accantonare i sogni e la voglia,
sempre presente, di tornare al paesello, a Vinci. Prima di tornarci dovetti
fare ancora molti giri in giro per l’Italia e quindi continuai ad occuparmi di
pittura e scultura, le due attività che producevano più soldi. Andai anche in
Francia, che all’epoca dava opportunità incredibili per le mie professioni.
Accadeva però sempre più che la notte mi apparissero fantasmi, o oggetti, o
stelle, e da ognuno di essi, scaturissero numeri, numeri vari, numeri in
continuazione. Sempre di più. Sempre più legati, notti e numeri. Numeri e
notti. In balìa di questa frenesia notturna, non riuscivo più a dormire bene e
mi svegliavo sempre pensieroso e di pessimo umore, finchè il mio più caro
amico, Francesco, mi rivelò che a Genova stava prendendo piede un gioco di
scommesse a soldi, basato sui numeri, con cui si poteva, se giocati bene,
vincere parecchi quattrini. Da quel
momento in poi, mi segnavo su un foglio di carta, tutti i numeri che sognavo la
notte. Dopo qualche giorno partimmo direzione Genova e ci arrivammo nella
serata. Tra quelli scritti nel foglio e quelli che mi sognai quella notte, sulla
carta c’erano più di cinquanta numeri. Se ne potevano giocare al massimo cinque
e dunque bisognava sceglierli. Non potevamo stare a Genova un’eternità; dovevo
lavorare e quindi decisi con Francesco che avremmo tentato la sorte una volta
sola. Ci sedemmo sul bordo di un muretto vicino al porto per scegliere il
destino e lo andammo a giocare.
Ora che vi ho raccontato parte della
storia mia e di quell’evento incredibile in cui vincemmo con quei cinque numeri
magici, una cifra enorme, sono felice. Posso uscire da questa osteria col
bicchiere colmo di vino rosso; andare sotto il piedistallo della statua che i
miei compaesani, hanno eretto in mio onore in piazza della libertà qua a Vinci,
per aver donato parte dei soldi alla comunità. Levare il calice al cielo e a me
stesso ed a voce alta leggere le bronzee lettere: Qui è nato e vive Leonardo da
Vinci detto Pippo, giocatore, artista e scienziato.
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