Cotone, di Andrea Quadrani

La bambagia era sempre stata un toccasana per me. Mia madre me lo diceva spesso che la coltivazione e lo sfruttamento del cotone erano state delle splendide conquiste degli uomini. Spesso anche oggi, questa conquista era macchiata di sangue; un tempo sangue di schiavi ed ora sangue di schiavi nuovi, non solo di chi raccoglie dalla pianta il suo frutto, ma anche da chi acquista ovunque i risultati della tessitura, sotto forma di prodotti di tutte le fogge e colori. Schiavi perché schiavi del progresso sostenuto dal sangue altrui. Io bambino ero ignaro di tutto ciò e, come ogni bambino che si rispetti, ero solo voglioso di giochi in libertà; di apprendere cose nuove giocando. Solo toccare il cotone in ogni sua espressione, dal cotone medicinale che usava mia madre, intriso di quel liquido rosso che bruciava, ma che a detta di lei faceva bene, alla maglietta della salute  e a oggetti e vestiti più complicati ai miei occhi; tutto ciò provocava in me gioia. Molte volte pensavo che questo fosse dovuto alla mia esistenza da bambino, particolarmente felice; il cotone lo toccavo spesso, perché abitavamo in fianco a una maglieria e le commesse mi facevano giocare con tutte le cose presenti nel negozio. Erano tempi felici e il pensiero associato al tatto, mi rendeva sempre radioso. Ultimamente però qualcosa era cambiato: da quando mi ero trasferito dalla mia antica abitazione, qualcosa di veramente strano mi stava accadendo, era come se tutti quei ricordi si affievolissero sempre di più; quando toccavo il cotone, ero sì contento, ma ero anche stranito, mi pareva che fosse tutto offuscato, che tutto fosse meno, vero. Impressioni mi dicevo, che non possono influire sulla bellezza di sensazioni che mi hanno accompagnato per molto tempo. Sentivo però che avevo bisogno di qualcosa per riattizzare i fuochi di un tempo. E quel periodo finalmente tornò con tutta la sua forza rievocativa, quando mi misi, una volta a settimana, e il clima lo permetteva, a intraprendere un magnifico esercizio naturale. E sempre più mi faceva tornare bambino e felice. Andavo nei parchi verdi della mia città, mi stendevo su un qualsiasi manto erboso e godevo della splendida visione del cotone, in alto davanti a me, sotto forma di nuvole bianchissime e nella mia fantasia ancora una volta morbidissime.

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