Ingordigia, di Andrea Quadrani
L’uccellino-mangiatore-di-briciole
arriva dritto con velocità e, ormai allenato, riesce a passare tra le sbarre
del terrazzino e atterra con voluta scioltezza sul campo delle briciole. Io da
dietro il vetro della porta-finestra, ammiro tutta la scena. Sono sempre
incantato dalla sua leggiadria, che si oppone alla sua lingua lunga. Sono interdetto
e triste oggi. Quindi non so se aprire la porta al di fuori e dialogare con
lui, o restarmene chiuso dentro a osservarlo? Come uno zoo al contrario. Lui intanto
si riempie la panza di un mare di bricioline: dalle più croccanti alle più
morbide. Non resisto più. Mi alzo dalla sedia e mi apro a lui. Mi appoggio allo
stipite dal legno un po’ scrostato dalla natura e attendo. Io non so come
cominciare; cosa dirgli; eppure ne avrei di cose…
- Ti vedo afflitto. – La sua vocina
arriva come da lontano ed io lo guardo e un groppo in gola mi blocca la
risposta. Apro la bocca e la richiudo. Sento un amaro in bocca come non mai. E prima
che continui interrompendo la sua giusta mangiata, ed io non voglio
interromperlo, socchiudo gli occhi per un attimo e rispondo, rispondo al mio
risoluto compagno di chiacchiere.
- Sono ingordo amico mio, - interrompe
la beccata e mi guarda perplesso, si ferma e mi riguarda come mai aveva fatto
prima, si accovaccia e ascolta, ascolta veramente quello che ho da dire. Io non
noto se non alla fine questo suo darsi, e le lacrime che mi scendevano già alla
fine delle mie parole, guardandolo, diventano piccoli rivi, che accecano anche
lui; cosa non voluta davvero.
- Ingoio notizie che non mi creano più
confusione, o paura, o delirio, o vomito, come dovrebbe essere per un essere senziente;
corpi di adulti donne e bambini, a pezzi o bruciati o violentati; ingoio
discorsi sentiti da altri ovunque vada di odio vendetta violenza, costruiti
dalla paura e smaltati sul mio viso con atroce tranquillità; ingoio le parole
che sento dalla scatola seducente, ogni sera quando la accendo e passo
erroneamente su quei programmi per adulti-bambini; mi canzonano da sempre con
le stesse parole bla bla bla e tutti ma proprio tutti hanno la soluzione e non
la usano mai; ingoio la mia assuefazione a tutto questo; ingoio le parole e le
lamentazioni di chi ha un lavoro; ingoio gli errori fatti in malafede da chi ha
un lavoro e lo fa anche con sciatteria e noncuranza dei danni che produce;
ingoio i capitan-ovvio che popolano rete e vie; ingoio la sicurezza che non è
tutto così nero, ma anche grigio e persino bianco; ingoio che il termine ‘nero’
usato poco fa implichi negatività e poi mi domando…; ingoio me stesso la sera e
la mattina mi vomito fuori spesso senza quella forza fede voglia che dovrebbe
muovere un essere senziente, che tutti dicono bisogna avere che hanno e io li
ammiro davvero perché ci riescono, riescono come te a volare sempre anche coi
venti contrari.
Resto così in silenzio. Gli occhi
chiusi. Le lacrime. Le mani lungo il corpo, bagnate; è uscito del sudore misto
a sangue. Dimostrazione che esisto; altra non ce n’è.
L’amico volatile non dice nulla, si alza
in volo e inizia a girarmi attorno, ai piedi, alle gambe, al corpo, alla testa.
Poi atterra sulla mia spalla destra. Mi giro a guardarlo e gli dico che è
davvero piccolo, ma quanta umanità in lui. E lui mi risponde che io sono
davvero grande, lo sto aiutando a partire passando sopra le sbarre senza
faticare, e vola via.
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