La Banda, di Andrea Quadrani
Era una rottura, una tremenda rottura
continuare a suonare in quella maledetta topaia; ogni tanto pensava che suonare
là o suonare in una stazione del metrò era la stessa cosa. Almeno lì al Penny
Rose c’era qualcuno che ascoltava. Magari un ubriaco con una birra in mano, una
biondona formosa cercatrice di anime maschili, qualche lesbica e qualche gay;
non c’era nemmeno la rete a protezione degli artisti, come nel famoso film con
Jack ed Elwood; probabilmente perché il gentile pubblico era talmente fatto da
non riuscire nemmeno a capire che cosa stavano suonando. Continuava a muovere le mani su quella
vecchia chitarra con movimenti sempre uguali, sempre dannatamente uguali. Era
una vita che cercava di convincere i compagni della band a cambiare qualcosa,
se non altro per non addormentarsi insieme ai clienti. Nessuno lo ascoltava mai.
A tutti andava bene sempre la stessa solfa e allora perché continuare a rompere
le palle ai compagni, se ogni tanto per pochi istanti anche lui dubitava di
poter cambiare, rinnovare. Nei momenti tristi gli tornava in mente quel vecchio
suonatore di batteria, nero, dannatamente nero,
che un giorno guardandolo dai suoi occhioni da bue stanco gli disse:
“Non mollare mai; dovunque andrai nella
tua vita, dovunque finirai a suonare, anche se ti ridurrai a suonare sempre le
stesse cose, ricordati che stai contribuendo a qualcosa di grande, sconosciuto
e bellissimo e quindi il tentare di cambiare sarà solo una conseguenza della
tua scelta. La carica che hai in te, non sfogarla in pochi momenti precisi, ma
cerca di dosarla piano piano, in modo di poterla sempre avere a tua
disposizione in tutto ciò che farai”.
Ma pensa un po’, un vecchio negro che
parla come un filosofo! Stasera parlerò con i ragazzi chissà che non sia arrivata
la volta buona per cambiare.
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