La Partita, di Andrea Quadrani


La partita era iniziata male, la squadra avversaria era già in vantaggio di parecchi punti e anche se mancava molto alla fine, non sapevo se sarei riuscito a ristabilire i valori in campo. Ero il più bravo, me lo dicevano tutti e ne ero consapevole anch’io tanto che scalpitavo attendendo la chiamata dell’allenatore. Non vedevo l’ora di buttarmi nella mischia, per me e per gli altri. Ero sempre stato umile e avevo sempre pensato che io ero come tutti gli altri. Andando avanti con il tempo mi avevano fatto capire che senza di me non poteva andare avanti niente. Ne ero convinto. Così quando l’allenatore mi aveva relegato in panchina, ero furioso, veramente. Come, io, una stella, in panchina? Assurdo. Anche i giornalisti lo dicevano. Accidenti! L’unico che pareva non capire era l’allenatore. Perché? Perché! Guarda là come giocano, se continua così … non voglio neanche pensarci. Vedevano tutti che fremevo in panchina; parevo un fachiro su una tavola senza chiodi.
Certo, avevo fatto i soldi, avevo alcune amichette, avevo messo su un po’ di peso, possedevo una bella casa con gingilli di tutti i tipi al suo interno; forse è vero stavo cambiando.
Ma è la vita che ti cambia, non ci si può fare niente.
Mentre pensavo a queste sciocchezze, si avvicinò il più anziano tra i massaggiatori, che mi disse:
“Se ritorni ai vecchi atteggiamenti rispettosi e umili, vedrai che ti farà entrare; basta che non cerchi di fare tutto da solo!”.
E si allontanò.
Mi rilassai. Era vero. Ero tutto agitato e sudavo.
Cercai di calmarmi, riuscendoci e con la coda dell’occhio vidi che l’allenatore mi guardava.
Mi chiamò e fissandomi negli occhi:
“Entra e scatenati!”, disse.
Entrai, partecipai; ero in una squadra; eravamo forti e naturalmente vincemmo, tutti assieme.

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