Sugo, di Anna Businelli


Ospito e Vi presento la mia cara Amica e Collega di Scrittura, Anna Businelli in forma di un suo racconto, bello e profondo: Sugo


Marilda era una cuoca eccezionale. Cucinava di tutto e tutto le riusciva benissimo. Torte, pasticcini, arrosti, timballi, soufflé. Sapeva cucinare la selvaggina ugualmente bene che la carne di casa. La cosa però che le riusciva meglio era il sugo. Non un semplice sugo ovviamente. Il sugo di Marilda aveva un qualcosa di particolare, un ingrediente o forse una combinazione di ingredienti che rendeva ogni pietanza che accompagnava unica e irripetibile. Marilda aveva speso metà della sua esistenza a sperimentare la sua ricetta del sugo. Tutte queste alchimie culinarie avvenivano in un luogo molto grande e articolato, con mobili alle pareti, tavoli per lavorare e camini per cucinare. Era così grande che pareva che la casa di Marilda fosse tutta lì, e in effetti non ricordo di aver mai visto altre stanze, dove dormisse o si lavasse o ricevesse visite.
Per me, che non avevo nessun interesse per il cibo, quel luogo che risuonava di pentole e odorava di spezie era totalmente incomprensibile. Tuttavia ogni giorno finita la scuola oppure nei pomeriggi di domeniche eterne passavo per la cucina di Marilda e mi fermavo ad osservarla.
Un giorno le chiesi: “Marilda, perché ti piace così tanto preparare il sugo?”
Lei aveva una teoria tutta particolare sul sugo: “C’è un piacere straordinario nel fare il sugo” rispondeva e quando pronunciava la parola SUGO le labbra diventavano carnose, tumide, color del sugo, e la bocca le si riempiva. “Riusciresti a mangiare qualcosa senza sugo? Ascolta me, le pietanze senza sugo non sono niente, fanno schifo, come la vita, se non c’è il sugo fa proprio schifo!”
Certo aveva una filosofia molto diretta, ma vero è che il sugo di Marilda era famoso in tutta la regione. “Marilda ha fatto il sugo” “Marilda ha fatto il sugo”. L’odore si spandeva ovunque, entrava dalle finestre, passava per le fessure, ti si infilava su per le narici fino quasi a stordirti, ti cambiava la giornata in bene o in male, a seconda, e tale era il suo potere. Marilda aveva ragione: la vita senza sugo non era niente.
Un’estate dopo la raccolta dei pomodori, Marilda se ne andò. Chiuse i grandi finestroni che davano sul giardino delle spezie, sbaraccò alla meno peggio l’enorme casa-cucina e lasciò il paese.
Tutti si chiesero il perché, ovviamente, qualcuno si diede una sommaria spiegazione, perfino il prete durante la messa domenicale disse due parole per Marilda (certo, non nominò espressamente il sugo, però …). Fatto sta che per mesi e mesi nessuno seppe più niente di lei, finché una mattina successe una cosa strana.
“Ma tu guarda dove uno si mette a fare la dispensa!” disse Tonino posando a terra il grosso ferro che stava usando per divellere il tavolato del pavimento “Nemmeno fossero i gioielli della regina!”
“Francesco, vieni a vedere, qua sotto c’è un ben di Dio”.
Però non arrivò solo Francesco, ma anche il proprietario della casa, e poi la moglie e le serve, i vicini e i passanti, il maestro di musica e il fornaio, la sarta e il calzolaio. In ultima arrivò perfino il sindaco e con lui il prete. Tutti si misero a guardare il profondo squarcio che Tonino vecchio muratore aveva fatto nel pavimento di legno bisognoso di essere sostituito. Lo stupore e l’incredulità si impossessarono di quelle facce stranite, una dopo l’altra, come il contagio di una malattia, ridestando il fantasma di una memoria antica. Nascosti sotto il tavolato c’erano decine e decine di vasi perfettamente conservati del sugo di Marilda!
La notizia, manco a dirlo, si diffuse ovunque e in un lampo. Anche questa volta il prete ne parlò nell’omelia, solo che adesso più che di Marilda parlò proprio del sugo, ma lo fece cercando di dargli un significato religioso, perché veramente un’omelia sul sugo non si era mai sentita.
Comunque ognuno diede alla cosa un suo personale significato. C’era chi diceva che era il dono di addio di Marilda e che quindi non si dovesse assolutamente toccare, chi invece sosteneva che bisognava consumarli perché dopo aver consumato l’ultimo vaso Marilda sarebbe tornata.
Qualcun altro faceva due conti: quanto tempo potevano avere? Marilda se ne era andata via da mesi e subito dopo la raccolta dei pomodori. Quindi non erano dell’anno in cui era partita e nemmeno dell’anno prima, perché in quell’anno la raccolta era stata veramente scarsissima. Forse erano dell’anno ancora prima, potevano avere due o tre anni, forse anche quattro o, chi lo sa, cinque e più. Si potevano ancora mangiare? Qualcuno diceva di sì, qualcuno di no. E altrimenti, cosa se ne sarebbe potuto fare? Di buttarli semplicemente via non passò per la mente proprio a nessuno (non il sugo di Marilda!) e nemmeno di lasciarli lì dove erano stati trovati, che poi sarebbe stata la stessa cosa.
Fu indetto allora una specie di referendum per raccogliere le proposte e ognuno scrisse la sua. Alla fine fu emesso il verdetto. Fu scelto un giorno di brezza leggera, le case vennero aperte, i balconi spalancati, gli armadi svuotati, i letti disfatti. Ogni cosa, ogni angolo del paese attendeva.
Allora vennero aperti i vasi, uno a uno, e rovesciati lentamente, quasi con un gesto rituale, in un enorme calderone. Poi venne acceso il fuoco. Ci volle un po’ perché il contenuto cominciasse a bollire, ma poi l’odore del sugo, quell’odore particolare, cominciò a diffondersi nell’aria, a riempire le stanze, a penetrare i tessuti, ad appiccicarsi ai vestiti, a ficcarsi nelle narici della gente. E tutti erano pronti ad annusarlo.
Era stato deciso proprio questo, che il sugo dovesse consumarsi lentamente e il suo odore permeare ogni cosa per rimanervi il più a lungo possibile.
Penso che Marilda volesse esattamente questo, che avesse lasciato decine e decine di vasi di sugo perché il loro odore ci stordisse o, se volete, ci risvegliasse, è lo stesso, perché è proprio vero quello che diceva: “La vita, o nel bene o nel male, però senza sugo, fa proprio schifo”.








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