Comunicare, di Andrea Quadrani


Comunicare v. tr. e intr. [dal lat. communicare, der. di communis «comune»; nel sign., dal lat. eccles. communicare (altari) «partecipare all’altare», cioè «alla mensa eucaristica»] (io comùnico, tu comùnichi, ecc.). – tr. Rendere comune, far conoscere, far sapere; per lo più di cose non materiali: c. pensieri, idee, sentimenti; c. la propria scienza; c. il coraggio, il timore; riuscì a comunicarmi la sua ansia. Per estens., dire qualcosa, confidare: c. una notizia, un segreto.
 
La comunicazione non verbale tra due anime, una di fronte all’altra, è dell’ottanta per cento; sempre che ciò avvenga: cioè che due anime si trovino, e comunichino tra loro. Invece dai racconti dell’uccellino – mangiatore – di – briciole, e i suoi voli radenti sopra gli esseri umani e non, sottostanti, e quello che telepaticamente mi riferisce la cagnetta Molly, sul suo sentire col nasino, non accade più; purtroppo aggiungo io, che adoro la comunicazione e cerco di celebrarla il più possibile. 
Accade invece che su e con i moderni mezzi di noncomunicazione, succeda di tutto: litigi, accanimenti, anime che si mollano, amicizie infrante, sudori freddi e caldi, vomito di idee, auto celebrazioni di mediocrità. Ben più facile farlo con i ditini che volano veloce sui tasti, che guardando negli occhi. Ben più facile sottrarsi al confronto diretto. Ben più facile colpire e fuggire come moderni guerriglieri, con poco romanticismo e molto ‘cazzi mia’. E poi magari meravigliarsi delle risposte, sempre nella stessa forma, ovvio: messaggini o telefonate, queste ultime sempre più rare, soprattutto tra i giovani. E l’eterno alibi qual’è? Non ho tempo. Quando leggo queste tre parole, la risata inizia dalla punta dei piedi e rotola fino alle punte persin doppie, dei miei pochi capelli rimasti. È un alibi che può reggere sempre, prendendo come ulteriore alibi, a rotazione, il compagno barra compagna barra marito barra moglie barra figli barra lavoro barra qualcosa mi posso inventare al momento; tutto per non guardarsi negli occhi per più di sessanta secondi, che chissà cosa può capitare. Può capitare solo del bene. 
In questa epoca di masochisti dal finto cuore d’oro, meglio stare protetti da un bello schermo, e da là, interagire con gli altri e sfuggire alla meraviglia di un incontro, anche brevissimo, il tempo di un ciao e un doppiobacio, con un’anima in fondo uguale a te; che combatte e vive in questa esistenza dai tanti coltelli, spesso e solo, piantati alle spalle. 
Ed è forse questo l’unico alibi che posso tollerare anche se non capire, perché figlio del ‘baruffon’ (baruffone), che spesso illimpidisce, molto più di una mail. l’unico alibi è questo terrore del confronto con chi mi ha fatto del torto, o di chi non la pensa come me, come se il confronto esista solo per convincere qualcuno di qualcosa e non come semplice dialogo tra due sponde. 
Io non ci sto, e per fortuna non sono solo, a questo raggrinzimento del comunicare, avendo la fortuna di vivere in una città, tutto sommato piccola e con tanti portici, per parare l’eventuale alibi sul tempo … Agli alibi sopra citati, preferisco un diretto ‘non ho voglia di incontrarti’, che pochi scriveranno con i loro ditini, per paura? Per timore? Non saprei dire, ma qualche volta mi è accaduto e mi  considero per questo, un'anima fortunata.
Chiudere una qualsiasi unione, senza guardarsi nell’anima attraverso gli occhi, è cosa che non farò mai. Mi sottraggo a questo ‘nuovo comunicare’ e mi ritiro, a volte mestamente, nel mio mondo antico, fatto di incontri di anime e di cuori.

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