Pupille di Sus, di Andrea Quadrani


Lungo il cammino non troppo difficoltoso per il terreno aspro, ma piuttosto per l’alta temperatura e umidità, pensavo a quello che avrei trovato, in quella serie di grotte, che già intravedevo avanti a me, quasi sulla linea dell’orizzonte; ancora due giorni di cammino e arriveremo a meta, io e il piccolo gruppo di abitanti della zona, che mi accompagnavano. 
La mia storia parte da lontano, da quando piccolino, già sognavo di notte e di giorno, di viaggiare nell’ignoto, qualsiasi esso fosse. Ora da adulto, di ignoto c’era ancora ben poco; forse però ero riuscito a trovare qualcosa che ricompensasse gli anni di sudore, vissuti sui libri prima e in qualche scavo sparso nel globo poi. 
In una mattinata plumbea, giunse a me, inaspettata, una notizia, portata da una ragazza che faceva lo stesso lavoro ingrato mio: l’archeologo. Proveniva dalla regione nord-occidentale della Terra di Punt, proprio dove un conflitto armato, grondava sangue sulle rocce già da qualche mese. Stranamente, gli archeologi, erano benvoluti da tutte le tribù in guerra, forse perché trovavano e valorizzavano, la storia passata dei loro avi. 
Mi raccontò che si parlava di antiche grotte sicuramente inesplorate dall’uomo, nei territori del nord-ovest. Ero talmente voglioso di correre in quel luogo lontano, che organizzai con rapidità il viaggio, cercando e trovando, tramite amicizie locali, i lasciapassare per raggiungere la zona. 
Mentre facevo questi pensieri, arrivò il momento della sosta per la notte; si montarono in fretta le tende e il ragazzo che fungeva da cuoco, lesto preparò la solita cena frugale. 
Alla mattina, appena uscito dalla tenda, subito guardai verso il mio obbiettivo. Sembrava più vicino di come appariva il giorno precedente. E dopo un consulto con la guida del luogo, capii che era proprio così: saremmo arrivati già nel pomeriggio. 
Smontato il campo in velocità, il cammino riprese. 
Per fortuna la strada non era impegnativa: rocciosa e pianeggiante, tipica della regione di Sanag. Le grotte ormai erano a vista; feci dei movimenti buffi con le mani, come quando ero bambino e volevo prendere la luna, per tentare di toccarle; socchiudendo un poco gli occhi, ci riuscii; quando li riaprii, eravamo di fronte agli ‘pupille di Sus’, come venivano chiamate dagli indigeni. 
Ero talmente emozionato che sfilandomi dalla spalla lo zaino, questo si aprì, e rigettò sul suolo alcuni dei miei sacri oggetti da lavoro: qualche pennello, due cucchiaini da tè, dei taglierini, una scopetta, un bisturi, un malepeggio che è un mini piccone e il mio inseparabile trowel, una cazzuola, fondamentale strumento di ogni archeologo. Fissai gli oggetti in terra e pensai per un attimo, sorridendo, che se li avessi lasciati così, in quel modo, un mio collega tra diecimila anni, li avrebbe trovati, ed emozionato, esaminati con golosità, come io stavo per fare, ora, appena entrato nelle grotte. 
Erano di fronte a me. Le grotte di Laas Gaal. Quasi undicimila anni fa, un regno matriarcale, tra gli unici al mondo, partì da qui e conquistò tutta la regione: la tribù delle Susiniche, mitiche guerriere-monache, di cui ancora oggi si racconta e si mitizza nei dintorni; autrici anche di un tipo di scrittura, particolarmente elaborato: il Susinico, tutto ancora da decifrare. 
Molto emozionato, presi il mio trowel ed entrai nella prima delle grotte; entrando mi rividi per un istante, bambino con la luna tra le mani. 
Ora era davvero con me.

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