Il Dolore, e il suo contrario, la Luce, di Andrea Quadrani


Ben sei anni sono passati da quei giorni che volavano nella tristezza e nelle lente corse sugli autobus romani. Il cellulare sempre acceso in attesa della Telefonata, che non volevo mai arrivasse o forse sì. La vicinanza degli Amici di mio padre, splendida, perché legata a lui. La vicinanza dei miei amici anche nella lontananza in chilometri. Tanta solidarietà di un piccolo esercito di anime in giorni piovosi, giusto per sottolineare l’evidenza del dolore, quello vero, che strappa qualcosa dentro, che non sai nemmeno tu come definirlo. Le lacrime che scendevano sempre nei momenti più strani. La mia solitudine assoluta, nella sua piccola casa; la stessa solitudine di mio padre, laggiù in ospedale. Le sue parole che risuonavano tra le mura e tra i libri, tanti, che mi circondavano ed a momenti, alleggerivano la stanchezza, la pressione. Le scoperte su di lui, su di me. E tanto amore che pareva aleggiare d’attorno a lui come uno scudo protettivo, non nei confronti della morte, ma della vita. La disperata operazione notturna, dopo tre infarti durante gli esami precedenti, estremo tentativo dei chirurghi vascolari di sistemare l’irreparabile. Quella barella attorniata di camici verdi che scorre lungo i corridoi semi bui dell’ospedale, dove tante anime dormivano nella sofferenza. L’attesa molto lunga. Nella notte l’ospedale diventa un luogo particolare. Il silenzio mi feriva il corpo e l’anima e dopo quattro durissime ore, riemerse il chirurgo che l’aveva operato. Ricordo come fosse adesso la fatica nel suo volto e anche nel corpo. Mi parlava appoggiato allo stipite di una porta. Operazione riuscita, ma poche speranze furono le sue parole e giunse subito la sua commozione mascherata da fatica. Splendido connubio di professionalità e umanità. Umanità e professionalità anche nelle parole della Responsabile della Terapia Intensiva post operatoria, che mi disse: suo padre ha il diritto di stare qua tutto il tempo necessario e anche di più. Dopo due giorni, l’epilogo, la mattina presto, nelle ore che lui tanto amava. Io vivo questi giorni, sempre stranito, pensando ad allora, dove non c’era tempo per il pianto, ma solo per le corse qua e là per sistemare ogni cosa, prima e dopo. Lo sento vicino? Lo sento lontano? A volte l’uno a volte l’altro. La speranza è che la sua anima abbia trovato la luce, la sua serenità e l’anima di sua moglie.

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