Prove, di Andrea Quadrani


Appoggiato con la mano sinistra alla panchina, faceva su e giù con la testa. Ma anche destra sinistra. Non era convinto, ma non voleva arrendersi. 
- Vuoi dire che ho sbagliato a giudicarla? 
- Non ho detto questo, - disse la maglietta a righe piccole, - ho solo detto che bisognava anche cercare di immedesimarsi nel suo pensiero. 
- Iiihhh se era facile, non la conosci è talmente, strana, - replicò il jeans blu, - non puoi capire. 
La maglietta a righe fermò il pensiero e si scostò dalla panchina alla quale anche lei era appoggiata. Fece tre passi indietro e mettendosi le mani ai fianchi, lo guardò come per inquadrarlo meglio e sparò: 
- Secondo te Io non posso capire? Chi credi di avere davanti, una Femmina o un Maschietto? 
Un piccolo rivolo di sudore, uscì dai capelli folti castani e con piccoli balzi imprevedibili, cadde nella felpa bianca, dietro la quale spiccava un gran numero trentadue. 
- Indubbiamente una femmina. Ed è per questo che mi sono rivolto a te. Una femmina forse, può capire di cosa caspita sto cercando di dire io che mi ha detto lei. Uff mi sono incasinato anche nello spiegare. 
E si riappoggiò alla panchina. 
Lei lo guardò con aria materna. 
Si avvicinò alla panca e ci mise sopra un piede per sistemarsi l’orlo dei pantaloni leggeri azzurri. 
Lui sbuffava e sudava. 
Lei sorrise. Era difficile spiegare e spiegarsi. Ma dovevano. Avevano deciso così. 
Girò intorno alla panchina e gli si mise di fronte. Erano allo stesso livello di altezza. 
- Forse lei ci tiene davvero a te. Ha solo bisogno di una leggera spinta. Non può far tutto lei. Sei tu l’uomo, devi in qualche modo condurla e proteggerla nel percorso. Non cercare di capirci troppo. 
La guardò. Una moretta con il visino candido e furbo. 
Si sentiva un po’ strano in quella situazione. 
- Che fatica che fatica, mi pare tutto chiaro e tutto a un tratto no; è così difficile non trovi? 
- Non più di tanto, - replicò sorniona, gingillando con la mano sinistra una catenina con un bel cuore come pendaglio. 
Toccando il cuore d’argento sorrise e si accomodò sul legno della panca. 
Il rumore dei pensieri assomigliava alle fusa di un gatto. 
Lui guardò l’orologio e si voltò verso di lei: 
- Mancano due minuti. 
- Dammi la mano allora. 
Restarono in silenzio mano nella mano. Poi dopo un tempo indefinito, ma simile ai due minuti, si alzarono entrambi. 
- Adesso abbiamo terminato di allenarci ad essere grandi? - fece lui. 
- Sì, possiamo tornare a giocare. Rimbalzò lei. 
E con i loro tredici anni sulle spalle corsero via.

Commenti

Post più popolari