Le Caste, di Andrea Quadrani


Sono qua nel mio soggiorno lucente, in compagnia del mio amico pennuto ex mangiatore di briciole tramutato per l’estate in ‘bevitore di acqua’, da quando ha saputo tramite vari umani, che d’estate bisogna bere molti liquidi. Non che ci volesse un umano per convincerlo. Gli piaceva solo l’idea di aver accolto per un attimo un suggerimento nostro. 
Effettivamente è caldo; in più le zanzare svolazzano senza remore in cerca di buon sangue. A me non mi fanno nulla, mi dice il pennuto, dopo aver da me saputo cosa fanno a noi umani. 
Tutte le fortune a questo dannato uccello. 
La mia cagnetta è invece stesa sul divano mogia. Ha una zampetta dolente che cerco invano di curare; invano perché la solerte quadrupeda lecca in continuazione la piccola fasciatura, che io mi ostino a ripristinare sopra la ferita; così, in moto perpetuo. 
Approfittando del fatto che col caldo ho il ‘blocco dello scrittore’ e che il seguito di ‘Beviamoci’ langue, mi faccio quattro chiacchiere con l’uccellino, che è sempre un bel disquisire. 
Si stava dialogando sulle caste. 
Un giorno aveva incontrato un suo amico, un merlo indiano; non solo era indiano di nome, ma veniva pure dall’India. Era arrivato qua con un umano, che dopo averlo prelevato in cambio, pensava lui, di denaro, l’aveva trasportato qua, dopo un viaggio lunghissimo che pareva non finire mai. 
Il mio uccellino l’aveva incrociato per aria poco dopo la sua fuga, avvenuta in un momento di distrazione dell’umano che lo teneva sempre rinchiuso in casa. 
Erano diventati amici e, di tanto in tanto, si trovavano per becchettare, sbevazzare o cinguettare. 
Così un giorno l’indiano gli raccontò che nel suo bel paese di nascita, gli umani sono divisi in caste in base alla loro nascita o ceto sociale; aveva notato poi che questo sistema era molto seguito nei vasti territori senza case e con meno umani; mentre più si andava in territori molto pieni di umani, case e quelle cose che corrono qua e là facendo gran rumore. 
Appena l’uccellino me lo riferì, mi si accese la famosa lampadina. 
E se facessimo anche qua così? 
L’uccellino mi guardò come fossi matto e, notando lo sguardo gli dissi: 
- Sì, hai ragione è una sciocchezza. Mi è passato per la mente così; un pensiero poco bello anche se magari molto pratico. 
- Non ti guardavo per questo motivo. Ti guardavo così perché a mio parere in caste siete già divisi. 
- Interessante osservazione. C’è da rifletterci e vedere come organizzare il ‘Castometro’. 
Mi guardò scuotendo ironicamente la testolina. 
Non gli lasciai proferire altro e, con delicatezza, lo defenestrai.

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