Negracci e altre amenità, di Andrea Quadrani


Ho voluto compiere una azione mista, di condivisione, di apertura, di informazione, di buon vicinato: andare a salutare e chiacchierare un po’ con una famiglia nigeriana arrivata da poco ad abitare nella mia via.  
È stato un pomeriggio ricco e stupefacente. Per tutti.  
Scriverò del loro primo racconto e della loro odissea per giungere fin qua.   
Sono originari della periferia della città di Kano situata a nord della Nigeria e capitale dello stato omonimo (la Nigeria è una repubblica federale); l’abitare in quella città negli ultimi tempi è diventata una sfida verso la vita: innanzitutto è una delle zone preferite dalle scorribande omicide di Boko Haram (terroristi jihadisti) particolarmente feroci e spietati; ultimamente si stanno specializzando nel rapimento di bambini per trasformarli in martiri da fare esplodere come bombe umane. Anche loro conoscenti sono stati rapiti, donne violentate e uccise, bambini decapitati e robette così. Poi nella zona ci sono miniere di stagno dove lavora la maggior parte della popolazione; gestite in parte da aziende nigeriane e purtroppo in parte straniere. Infine alcuni modi di vita personali, come per esempio l’omosessualità, sono reati per i quali è prevista la pena di morte tramite lapidazione. E uno dei figli della famiglia è gay.  
Ragion per cui hanno deciso di scappare dalla loro terra (non dalla guerra certo, ma mi pare che le ragioni siano altrettanto valide), per venire in Europa.  
Hanno venduto tutto quello che avevano; si sono anche fatti aiutare da parenti e amici e dopo aver preso informazioni si sono affidati ad un ‘trafficante’ locale. Già, perché in ogni nazione africana, povera e non, ci sono le prime basi di trafficanti di schiavi.  
Il costo del primo tragitto e cioè dalla Nigeria alla Libia, non me l’hanno voluto dire, ma mi hanno fatto intendere che è stato salatissimo, perché prevedeva non solo il lunghissimo viaggio sulle piste dei Tuareg, da oasi a oasi attraverso Niger, Algeria del sud e Libia occidentale, ma anche ‘protezione’ e, per grande loro fortuna, l’evitare di finire in alcuni dei campi di partenza libici, veri e propri mattatoi umani all’aperto.  
La loro intenzione era di andare in Francia, ma purtroppo sono incappati nel secondo trafficante di schiavi, che li avrebbe portati in Italia.  
Perché in Italia? Poi lo vedremo.  
Arrivati in Libia sono stati portati sulla costa in una specie di baraccopoli in attesa di imbarco. Là hanno conosciuto un sacco di anime provenienti da mezzo mondo; un sacco di storie che, quando hanno saputo che scrivo, mi hanno promesso di raccontarmi nei prossimi nostri incontri. Mi hanno però raccontato che c’è un impressionante via vai di barche, gommoni e navi di ogni genere, che partivano da là; spesso con gente, spesso con casse di vario tipo (secondo loro armi), spesso con moribondi provenienti dai campi sopra citati.  
Ad un certo punto è toccato anche a loro. Un giorno di settembre di due anni fa, sono stati fatti imbarcare su una piccola nave; hanno dovuto sborsare l’ultima ingente cifra e sono partiti. La nave andava pianissimo perché era stipatissima di anime. Ovunque ci potesse essere un corpo, il posto era stato occupato. Non avevano cibo e l’acqua era poca; rapidamente è finita e per l’ultima rimasta alcuni si sono accoltellati; i corpi dei morti sono stati buttati a mare. Poi è spuntata dell’acqua data da chi li trasportava, perché avevano sentito (in famiglia tutti sanno l’inglese ed ora l’italiano), che i soldi li avrebbero ricevuti solo se la ‘merce’ sarebbe stata consegnata viva. Perché? Perché oltre ai soldi ricevuti dai trasportati, i trafficanti avrebbero ricevuto soldi anche all’arrivo. Seppero poi il motivo raggelante: già dalla partenza dalla Libia, i carichi che si dirigono in Italia sono già smistati; ci sono organizzazioni che ‘acquistano’ il ‘prodotto’: gli uomini vanno a lavorare nei campi di tutto il sud Italia, le donne le fanno prostituire un po’ ovunque, e i ragazzi e bambini sono venduti al racket dell’accattonaggio, ai pedofili, o usati come miniere di organi da trapiantare.  
Ecco il motivo per cui fanno di tutto per essere portati in Italia.  
E (udite, udite) secondo i miei amici nigeriani Salvini fa bene a cercare di impedire gli sbarchi; così si impedisce alla mafia di prosperare. È un modo come un altro. Certo dovrebbe anche non avere rapporti con la Libia, ma, mi dicono, le macchine in Italia vanno a benzina e finché l’Italia ha le concessioni per estrarre il petrolio in Libia, i rapporti dovrebbero continuare. O no? Mi chiedono, sareste disposti a pagare un euro in più al litro, in cambio di vite umane?  
Bella domanda. Che giro anche a chi legge.  
Insomma poi sono finalmente arrivati al largo di Lampedusa. Là il carico è stato diviso in due. Loro con altri sono stati spostati nottetempo in un’altra barca più piccola e portati in Sicilia. Dei loro compagni di viaggio non sanno la fine.  
Da là in avanti, in un modo e in un altro, hanno risalito la penisola fino ad arrivare in Veneto (mi racconteranno le storie più avanti ed io le scriverò per te anima che leggi).  
Gli ho chiesto solo: gli Italiani sono razzisti? Ci hanno pensato un poco e poi mi hanno risposto: alcuni sì, alcuni no; da alcuni siamo stati chiamati ‘negracci’, da altri ‘scimmie’, da altri ‘uomini’; siamo stati trattati male e bene. È una domanda difficile. La risposta anche, mi hanno detto ridendo e mostrando così i loro denti bianchissimi.  
Primo passo fatto.  
Abbracci, strette di mano e cordialità.  
Umanità e simpatia.  
Bellezza e varie semplici amenità.

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