Lei non sa chi sogno io! di Andrea Quadrani
Ero andato in un albergo in una zona termale famosa, per dar modo alle mie ossa di rigenerarsi un pochino. Il mio medico di famiglia mi aveva esortato a fare questa vacanza. Io sono stato sempre riluttante alle zone termali, ritenendole troppo tranquille e noiose. Penso però che a volte la tranquillità e la noia, ci vengano incontro, per darci una mano nel vivere; proprio nel mio caso furono particolarmente in armonia. L’albergo era popolato da un manipolo di vecchietti, più o meno simpatici che usavano il tempo per riposarsi, dormire e sonnecchiare. Entrai così subito anch’io nel loro ‘giro’, abbassando sensibilmente l’età media degli alloggiati. Una sera dopo cena mi sedetti in una comoda sedia a dondolo e mi appisolai.
Mi trovai in una spiaggia. Non tanto larga, qualche decina di metri appena. Folta vegetazione tropicale da una parte; un mare dal colore indefinito, azzurro che cambiava rapidamente in rosa e poi in giallo, dall’altra. Il cielo era grigio, ma non da pioggia; un grigio uniforme senza alcuna sfumatura. Ero scalzo, con addosso solo jeans corti. Nessuno a parte me in giro. Sentii il bisogno di muovermi e dirigermi verso la lingua di sabbia che in fondo là, piegava sulla destra e spariva. La sabbia calda mi solleticava i piedi in maniera piacevole, quel calore che a volte m’infastidiva, era in quel momento la cosa che più cercavo. Procedevo con calma e la curva lentamente si avvicinava. Il paesaggio in quel punto cambiava. La spiaggia si restringeva e assumeva i tratti di un paese tropicale; sabbia più fina e chiara, qualche palmetta qua e là e caldo. Un’impressione di qualche tipo di presenza mi bloccò. Cambiai direzione e mi addentrai verso la natura verde. Non era troppo fitta. Pareva anzi che al mio passaggio, le fronde si aprissero e, all’improvviso, mi apparve dinanzi un gruppo di vecchietti che sistemava le piante. Li riconobbi subito, erano i vecchietti più operosi dell’albergo. Insieme a loro c’era un giovane alto e completamente nudo, che dava istruzioni e impartiva ordini. Nonostante la mia lentezza nel comparire, si accorsero subito della mia presenza e, come un essere solo, si bloccarono ognuno nell’atto che stava eseguendo, apparendo così come mimi seriosi o comici. L’uomo nudo come leggendomi nel pensiero, aprì la bocca come per parlare e certo parlava, la bocca si muoveva, ma non udivo niente. Mi pareva di intuire soltanto che era arrabbiato per la mia presenza. Tutti erano arrabbiati adesso si vedeva, dopo che si erano mossi daccapo. Uno dei vecchietti rosso in volto si avvicinò a me e con fierezza e forza mi strillò contro:
- Cosa fa lei qua? Lei non sa chi sogno io!
Mentre lui diceva questa strana invettiva, gli altri lesti, si disposero in fila indiana e ognuno mi regalò la stessa frase; l’ultimo del gruppo aggiunse:
- E in più interferisce con i nostri sogni e col nostro lavoro.
Lavoro? Non voglio interferire con niente, io. Sono un’anima pacifica, io. Sono sempre stato pacifico, io. Fin troppo a volte. Proprio ora, che ero ebbro di tranquillità, sentirmi in più, in mezzo a qualcosa di non mio; estraneo nientemeno che in un mio sogno, mi inquietò e fuggendo, mi svegliai di soprassalto.
Il mio soprassalto e apertura degli occhi, furono un tutt’uno col balzo indietro di tutto un gruppo davanti a me. E le parole: interferisce col nostro lavoro, erano ancora a mezz’aria, appena proferite da uno dei figli più giovani dei proprietari dell’albergo. Che adesso era guardato da tutti di traverso. E chi quello, chi quella, lo accusava di avermi svegliato. Cercai di alzarmi, ma ero tutto intorpidito, con doloretti e crampi ovunque lungo il corpo. Lentamente mi misi in posizione eretta, ma non troppo e guardando qua e là vidi la luce del sole esterna, fioca fioca, da mattina presto. Biascicai un saluto o così pareva a me, e uscii per svegliarmi di più. L’aver dormito in quella posizione, acuì l’effetto dell’aria fresca della mattina. Fu come ricevere uno schiaffo. E poi subito dopo un altro, sulla guancia opposta. Ero sveglio. Tornai dentro e mi scusai con tutti. Erano, infatti, restati là, girandosi verso di me all’unisono e seguendo tutti i miei passi. Decine di occhi perplessi e preoccupati. Tranquillizzai ognuno e soprattutto la mia sveglia umana. Il ragazzino che per fortuna mi aveva tolto da quello strano sogno. Salii in camera e mi diressi in bagno. Là entrai in doccia e restai parecchio sotto l’acqua a pensare. Mi vestii. Ridiscesi poco dopo; entrai nella sala, in quel momento gremita; mi sedetti al mio tavolo segnato dalla targhetta col numero della stanza, iniziando la colazione.
La sensazione di essere osservato da tutti entrò in testa, nello stesso momento del primo biscotto nel caffelatte.
Mi trovai in una spiaggia. Non tanto larga, qualche decina di metri appena. Folta vegetazione tropicale da una parte; un mare dal colore indefinito, azzurro che cambiava rapidamente in rosa e poi in giallo, dall’altra. Il cielo era grigio, ma non da pioggia; un grigio uniforme senza alcuna sfumatura. Ero scalzo, con addosso solo jeans corti. Nessuno a parte me in giro. Sentii il bisogno di muovermi e dirigermi verso la lingua di sabbia che in fondo là, piegava sulla destra e spariva. La sabbia calda mi solleticava i piedi in maniera piacevole, quel calore che a volte m’infastidiva, era in quel momento la cosa che più cercavo. Procedevo con calma e la curva lentamente si avvicinava. Il paesaggio in quel punto cambiava. La spiaggia si restringeva e assumeva i tratti di un paese tropicale; sabbia più fina e chiara, qualche palmetta qua e là e caldo. Un’impressione di qualche tipo di presenza mi bloccò. Cambiai direzione e mi addentrai verso la natura verde. Non era troppo fitta. Pareva anzi che al mio passaggio, le fronde si aprissero e, all’improvviso, mi apparve dinanzi un gruppo di vecchietti che sistemava le piante. Li riconobbi subito, erano i vecchietti più operosi dell’albergo. Insieme a loro c’era un giovane alto e completamente nudo, che dava istruzioni e impartiva ordini. Nonostante la mia lentezza nel comparire, si accorsero subito della mia presenza e, come un essere solo, si bloccarono ognuno nell’atto che stava eseguendo, apparendo così come mimi seriosi o comici. L’uomo nudo come leggendomi nel pensiero, aprì la bocca come per parlare e certo parlava, la bocca si muoveva, ma non udivo niente. Mi pareva di intuire soltanto che era arrabbiato per la mia presenza. Tutti erano arrabbiati adesso si vedeva, dopo che si erano mossi daccapo. Uno dei vecchietti rosso in volto si avvicinò a me e con fierezza e forza mi strillò contro:
- Cosa fa lei qua? Lei non sa chi sogno io!
Mentre lui diceva questa strana invettiva, gli altri lesti, si disposero in fila indiana e ognuno mi regalò la stessa frase; l’ultimo del gruppo aggiunse:
- E in più interferisce con i nostri sogni e col nostro lavoro.
Lavoro? Non voglio interferire con niente, io. Sono un’anima pacifica, io. Sono sempre stato pacifico, io. Fin troppo a volte. Proprio ora, che ero ebbro di tranquillità, sentirmi in più, in mezzo a qualcosa di non mio; estraneo nientemeno che in un mio sogno, mi inquietò e fuggendo, mi svegliai di soprassalto.
Il mio soprassalto e apertura degli occhi, furono un tutt’uno col balzo indietro di tutto un gruppo davanti a me. E le parole: interferisce col nostro lavoro, erano ancora a mezz’aria, appena proferite da uno dei figli più giovani dei proprietari dell’albergo. Che adesso era guardato da tutti di traverso. E chi quello, chi quella, lo accusava di avermi svegliato. Cercai di alzarmi, ma ero tutto intorpidito, con doloretti e crampi ovunque lungo il corpo. Lentamente mi misi in posizione eretta, ma non troppo e guardando qua e là vidi la luce del sole esterna, fioca fioca, da mattina presto. Biascicai un saluto o così pareva a me, e uscii per svegliarmi di più. L’aver dormito in quella posizione, acuì l’effetto dell’aria fresca della mattina. Fu come ricevere uno schiaffo. E poi subito dopo un altro, sulla guancia opposta. Ero sveglio. Tornai dentro e mi scusai con tutti. Erano, infatti, restati là, girandosi verso di me all’unisono e seguendo tutti i miei passi. Decine di occhi perplessi e preoccupati. Tranquillizzai ognuno e soprattutto la mia sveglia umana. Il ragazzino che per fortuna mi aveva tolto da quello strano sogno. Salii in camera e mi diressi in bagno. Là entrai in doccia e restai parecchio sotto l’acqua a pensare. Mi vestii. Ridiscesi poco dopo; entrai nella sala, in quel momento gremita; mi sedetti al mio tavolo segnato dalla targhetta col numero della stanza, iniziando la colazione.
La sensazione di essere osservato da tutti entrò in testa, nello stesso momento del primo biscotto nel caffelatte.
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