Volersi bene, di Andrea Quadrani



So che il tuo dolore in questi giorni supera ogni limite. Lo sento anche quando mi invii un messaggino. Lo percepisco annusando l’aria; è portato dal vento, come un’oscura inquietudine antica. Le prove, gli esami, i dolori, sono lanciati verso di te in un modo barbaro. Sappiamo che ogni persona porta le sue ferite e le sue cicatrici, ben nascoste sotto i vestiti, persino sotto la pelle. Nessuno deve vedere. Neanche noi stessi. Li sentiamo fisicamente o mentalmente, ma vederli, vederli, non possiamo proprio. È un modo molto comune di vivere. Tu invece vivi il dolore in modo aperto, osceno, duro. Lo subisci, tenti di ribellarti, lo combatti. Entrambi siete fieri in questo. Il tuo dolore però ha una carta in più. Sempre. Vincerà lui, ne sei sicura e attendi proprio questo: la sua vittoria finale. Il solo pensiero annichilisce il tuo corpo, ma tu lo attendi impavida e strana; forse persino felice di liberarti di tutto questo, di questi giorni, di queste ore di tormento e di non-vita. Io sento tutto questo e sono triste con te e per te. Non so come riuscire a lenire i tuoi giorni, ma gli dèi sanno, eccome se lo sanno, che farei di tutto per aiutarti. Non a non soffrire, bada bene, che la sofferenza resta, è un fatto ormai certo e spietato, ma a soffrire insieme con te, aiutarti, proteggerti. Sento anche adesso il tuo respiro affannoso per il correre qua e là dai tuoi genitori sofferenti in attesa, loro, della cosiddetta ‘pace eterna’; sento il tuo cuore che pompa veloce il sangue dentro di te, bum bum bum, il ritmo è in contemporanea con il mal di testa che sale, sale, lungo la china della giornata, per poi spegnersi un poco nelle poche ore notturne, del tuo riposare. I tuoi occhi sputano fuori lacrime nei momenti della giornata più diversi; senza una logica, senza un motivo, senza. Sento il tuo corpo che soffre sempre di più e il mio corpo insieme. La distanza riduce le mie possibilità di aiutarti in qualche modo più pratico; forse va bene così; il pensiero e il sentire, a volte sono più forti dell’esserci e toccare; questo per me è il nostro caso, e so che lo è anche per te.

Mi siedo sul divano rosa nel salotto di casa mia e guardando il cielo azzurro un po’ velato di bianco, sempre bello però, poso gli occhi sugli alberi e le piante verdi del parco davanti a me. In questo momento c’è molto silenzio, e le piante danzano ritmate dal vento. Te sei accanto a me. Siamo in silenzio anche noi, in armonia con quello che vedono i nostri occhi e percepiscono gli altri sensi. Tu appoggi la testa lentamente sulla mia spalla ed io, lentamente anch’io, accarezzo i capelli neri e morbidi come la notte. Dai tuoi occhi scende qualche goccia, scappata via dai tuoi pensieri; non le asciughi; servono anche loro per ricordare chi sei e cosa porti. Stiamo là, così in silenzio, uniti nei nostri silenzi; adagiati in quello che il silenzio porta.

Mi scuoto con leggerezza e aprendo gli occhi vedo che sei andata via; l’incantesimo però è servito: sento che hai ricevuto della luce che ti porterà forza per qualche giorno.

Mi alzo ed esco a respirare aria fresca.

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