Resurrezione, di Andrea Quadrani


Ero seduto sulla tazza del water. Appena sveglio mi era venuto subito lo stimolo e ciò era un bene: la giornata era dedicata alle pulizie della casa, alle ‘lavatrici’, allo stendere, allo stirare. 
Dopo aver espletato, dopo la colazione e dopo le minime abluzioni, il premio per il lavoro di casalingo sarebbe stata una gran doccia, restai seduto su quel monumento in ceramica delle meditazioni. Meditare in quel momento era per me importantissimo: dovevo meditare sui lavaggi da far compiere al monolito piazzato alla mia destra, alla lavatrice. 
Mentre la lavatrice andava, dovevo eseguire compiti senza uso della corrente elettrica, altrimenti uniti come tanti soldati che si attivano tutti assieme, le macchine si sarebbero bloccate. Meditavo, pensavo, organizzavo, mentre il blocco di metallo mi guardava da quel suo grande occhio di vetro, aspettando la mia prima mossa. 
Mi alzai e mi lavai le mani, sfregandole bene come un animaletto in cerca della massima pulizia. 
Guardai dentro il cesto della biancheria; vivevo solo e quindi i lavaggi da fare erano pochi, solo due: uno più tosto con temperatura elevata, lavaggio, prelavaggio, centrifughe, che per quella vecchia lavatrice si potevano meglio chiamare, sbatacchiamenti; uno più blando e meno complicato. Pensai di fare prima il più tosto; impostai la temperatura, misi il detersivo, l’ammorbidente, aprii il grande occhio di vetro e infilai vario materiale sporco o sporchissimo. Clac, chiusi l’occhio di vetro e schiacciai per la partenza del programma. Dopo qualche secondo, il monolito di metallo, fece uno strano rumore metallico prolungato e poi un piccolo fischio e poi si bloccò. 
E ora, che accade? Cos’è che non ti garba monolito? 
Mi sedetti sul bordo della vasca da bagno proprio di fronte a lui e presi il libretto delle istruzioni andando alla pagina ‘risoluzione problemi’. Lentamente, seguendo con il dito le varie voci, scesi per tutta la pagina e metà di quella dopo. C’era poco che poteva aiutarmi. Per i lavori manuali non ero un grande esperto, in più era domenica e di chiamare l’assistenza non era proprio il caso. Ero bloccato. Una persona di giudizio, sarebbe andata oltre e avrebbe iniziato un altro lavoro, forse. 
Io non ero una persona di giudizio, forse non lo ero mai stato; certo il mio primo caso di giudizio, non poteva iniziare con una lavatrice. Non solo per la forma ma anche per la sostanza. Mi sentivo proprio fermo nell’agire. Rimasi seduto sul bordo della vasca da bagno, qualche minuto, fino a quando le chiappe iniziarono a farmi male. Mi alzai. Toccai il monolito e ripetei le manovre dall’inizio. 
Adesso non c’era nessun rumore; blocco totale. 
Andai in cucina per prepararmi un caffè bello forte. Mi sentivo come osservato dai mobili impolverati, dai pavimenti sporchi, dai piatti da lavare. Mi sentivo giudicato e invogliato a proseguire. 
A lasciare andare quel problema. 
A riprenderlo più avanti, con la mente sgombra. Volevo rispondere a tutti, magari a voce alta, ma non mi riuscì; per fortuna. Bevuto il caffè, che era venuto una vera ciofeca, facendomi agitare ancora di più, ritornai in bagno. 
Mi accostai al monolito bianco e cieco alla mia follia, iniziai a parlargli come una persona. Che mi aiutasse, che non mi lasciasse allo sbeffeggiamento del resto della casa; degli altri. 
Lo accarezzai perfino. 
Poi con timidezza, ripetei le operazioni di partenza e in piedi attesi il responso. Il monolito bianco e il suo grande occhio di vetro, iniziarono a fare quello per cui esistevano. 
Io durante il lavaggio non riuscii a fare altro, che stare in piedi a osservare e ascoltare il lavoro in esecuzione; fino a che mi parve di sentire una voce provenire dall’interno della lavatrice, che m’imponeva un dazio, come tutto aggiunse. 
Mi allontanai con calma a prendere una scopa; oggi non era giorno da aspirapolvere.

Commenti

Post più popolari