Osti, di Andrea Quadrani

OGNUNO BEVE PER GODERE   
SEMPRE COMPLICI   MAI GIUDICI

Faccio parte della categoria dei Maledetti Tavernieri o Osti Burberi, quelli che ti accolgono accigliati dietro i loro banconi colmi di ogni ben di diavolo, per darti sempre il giusto di quello che tu vuoi: la via per il paradiso travestito sempre da inferno. In fin dei conti la lotta ardua tra il bene ed il male, tra chi non beve e chi beve, per certuni bevitori è quasi sempre la discesa agli Inferi accompagnati dallo sguardo benevolo di molti di noi, che sanno benissimo che si fermeranno giusto un attimo prima dell’arrivo, (il bevitore è raramente masochista) e lo sguardo malevolo degli altri presenti che sperano invece quasi sempre il contrario. E’ questa l’umanità che popola il tipo di osteria in via di scomparsa sostituita dagli altrettanto utili uainbar. L’umanità che accoglie ogni avventore come un fratello bevitore. L’umanità che sa accettare senza selezionare e che a volte sa anche perdonare. Perdonare chi si ‘dimentica’ di pagare, chi non paga, chi piscia fuori dalla tazza del gabinetto, chi urla ad alta voce fuori dall’uscio facendo arrabbiare non poco i molti cani esterni. Come un moderno Caronte, l’oste traghetta il suo bevitore, uomo o donna che sia, verso la riva dell’oblio, facendogli credere di essere lui a decidere; invece è l’oste che lo conduce, sa quando versare, quanto e a che prezzo; a volte le due monete sono solo l’inizio, l’importante per l’oste, al contrario del traghettatore, è che ci sia un ritorno, una poco cristiana resurrezione e che il bevitore non cessi di essere quello che è: un essere che fa un percorso avanti ed indietro, spesso prestabilito. Si comprende molto già da quando entra nel nostro regno, come guarda i contenitori dei sacri liquidi posti sugli scaffali; come osserva i bicchieri e le coppe sopra il bancone;  come contempla la cameriera che l’oste quella sera ha scelto come complice;  come scruta la lavagna dove sono elencate le possibili scelte, ben sapendo che l’oste ha ben altre scelte non scritte  e che sta a lui riuscire ad ottenerle. Il bevitore di solito è un animale singolo, che a volte si riunisce in branchi nelle immediate vicinanze all’osteria, oppure direttamente all’interno. Però   il maneggio migliore è tra l’oste e il bevitore da solo; c’è più equità, più divertimento, più sottile piacere. Inizia quindi il momento delle richieste, delle decisioni, delle ‘versatio’ del fluido giusto nel bicchiere giusto e soprattutto nella quantità giusta, quest’ultima variabile è fonte di inesauribili discussioni che a volte montano in melodrammatiche scaramucce con minacce di vario tipo e menzioni alle parentele femminili di varia natura, da entrambe le parti. Sempre nel massimo rispetto però e senza mai superare la soglia che nessuno sa mai qual è ma di cui tutti ne conoscono i limiti. Sopite le scaramucce, Il bevitore finalmente assapora la bevanda versata. La osserva attraverso il bicchiere e in quel momento il vetro si trasforma in una lente di ingrandimento terribile; infatti ingigantisce pressoché tutto, ricordi passati e presenti con i loro attori e le comparse, che solo il bevitore conosce; danzano tutti nel bicchiere e si confondono intrecciandosi alle nebbie presenti. È una fase questa che il bevitore deve intraprendere da solo; il momento è molto importante e lo sa ben l’oste che, tenendo sempre d’occhio il bevitore, finge di far qualcos’altro e intanto medita con la sua esperienza su come interagire con lui. Ognuno è diverso ma tutti simili. Ognuno ride o piange qualcosa e lo si coglie con grande emozione, osservando bene i movimenti del bevitore: come muove il calice, come lo alza e lo abbassa, come lo guarda e come beve da esso, come si guarda in giro per cogliere complicità o rifiutarle; un gioco di sguardi continuo e magnifico ed è quello il momento di  inizio della condivisione. Il secondo bicchiere è il cammino verso la luce della conoscenza. Il secondo bicchiere è la porta che si apre verso un mondo nuovo. Raramente il bevitore infatti si ferma al secondo calice, sa infatti che il secondo calice è un passaggio, è un mezzo e l’oste sa che il bevitore che oltrepassa quella soglia, andrà fino in fondo. Ogni bevitore ha un limite per quel fondo. L’importante è raggiungerlo; il limite è un momento magico che dura pochi istanti in cui si coglie, si intuisce o si comprende qualsiasi cosa. È un momento superbo che molti hanno agognato e quasi tutti raggiunto, ma che ahimè, non lascia ricordo. È per questo che il bevitore torna sempre nei luoghi di perdizione; per cercare di raggiungere quel fatale momento. Dopo aver colto l’attimo, l’oste mesce quindi nel secondo calice il liquido richiesto sia esso diverso o uguale al precedente; i pensieri che si rincorrono nella testa del bevitore,  lentamente emergono, escono ed investono chiunque sia nel loro raggio d’azione. È qui che il bevitore tenta l’approccio con altri esseri presenti; si inizia dalla cameriera che a prescindere dal suo aspetto esteriore è un punto di riferimento importantissimo. Al secondo bicchiere raramente muta di bellezza; man mano che il viaggio del bevitore si protrae, si trasforma in quello che lui vuole, copia dei suoi stessi ricordi di donne amate, sedotte o solamente pensate; l’oste lo sa ed è in base ai suoi bevitori abituali che sceglie la complice adatta. Dopo aver catturato la complice dell’oste, si volge verso gli altri bevitori con cui instaura o tenta, dialoghi legati ai più disparati temi, che l’oste benedice o maledice a seconda delle reazioni. Certuni temi sono molto più rischiosi di altri: politica e calcio sono ad esempio in grado di scatenare risse verbali di ampio respiro che si gonfiano e si sgonfiano nei tempi più variabili; queste digressioni dal viaggio, accompagnate da cascate di risate, terminano infatti molto repentinamente  quanto sono incominciate. Inizia il punto più pericoloso e quindi più ambito, i ragionamenti personali. Ragionamenti che partono dalla pancia, passano al cervello e poi via, scappano fuori dannatamente liberi. Questo fa si che il bevitore continua il suo viaggio negli inferi, raccontando fatti o pensieri che pian piano diventano sempre più riservati. Questo momento non sempre accade, ma se ciò avviene, l’oste sorride compiaciuto. Il suo dovere l’ha fatto alla perfezione. Ora deve soltanto gestirlo permettendo al bevitore di solito due scelte: arrivare fino in fondo da solo o farsi aiutare e, non è lui che decide … ; il vero oste infatti da una certa ora in avanti, condivide con i bevitori le loro sorti. La notte porta ubriachezza, quindi saggezza. L’oste si avvicina da vero sacerdote dell’oblio verso i liquidi ancestrali che ogni sera serve.  Beve copiosamente dai calici giusti. Infine, pur essendo dall’altro lato della barricata etilica, comincia a comunicare con il bevitore da suo pari.  Ascolta, osserva, risponde, incita, ammicca, collabora, con gesti e parole sempre più complici. Dal terzo calice in avanti il cammino per il bevitore è segnato; egli da saggio assimilatore inizia a comprendere il suo compito, inizia a capire ciò che veramente egli è;  tutto è chiaro ormai, si avvicina il momento magico. L’unione e l’interazione tra tutti gli spiriti presenti. E’ il culmine. Il Vino è ‘solamente’ il mezzo del collegamento tra le menti, raffinate a loro completa insaputa. È il Vino il vero re della serata. Tutti lo sappiamo, i Bevitori e gli Osti. Tutti a modo diverso comprendiamo o tentiamo di comprendere cosa cerca di farci capire il Vino. Cosa c’è dietro, dentro, d’attorno a quel liquido scuro o chiaro, profumato e sapido, salato ed etereo, divino e umano; creato da mani che hanno preparato la madre vigna al concepimento; mani che hanno curato la terra; mani che hanno colto i grappoli e li hanno lavorati; dopo i tempi giusti è giunto a noi, si apre a noi. Noi dobbiamo soltanto capire e bere.






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