Cagata, di Andrea Quadrani
Consiglio: non leggere se troppo
impressionabili!
Salve. Sono un
ragazzo australiano e vi sto scrivendo da una camera presa in affitto in Via
San Francesco, a Padova, Italia, in un edificio del 1700. La camera è in
salita, le scale sono storte, ma non me ne preoccupo in quanto sembra che
questo antico edificio abbia raggiunto l’equilibrio eterno.
Vi devo
rendere partecipi di ciò che mi è accaduto ieri sera; ma vi avverto: se siete
sensibili potreste avere problemi gravi.
Partiamo…
Mi aspetta una
serata stupenda; pronto a bere, nuovamente libero, dopo che sono rimasto di
nuovo single. Esco quindi con le idee chiare; alle 22 mi faccio la prima birra,
alle 23.30 sono già alla sesta. Comincio ad essere vagamente scosso in quanto
mi rendo conto di non aver mangiato da due giorni e di non aver bevuto acqua
negli ultimi tre. Nonostante tutto confido nella mia ormai famosa bestialità.
E’ mezzanotte, l’oblio si avvicina; trovo un compagno di viaggio e decidiamo di
cambiare locale per una nuova serie di birre, ma prima gli confido che devo
svuotarmi nel primo bagno decente che troviamo, nel prossimo locale che
visitiamo.
Il bagno è
lindo, tutto sembra perfetto, ma è solo l’inizio di una terrificante
situazione. Questa toilette così innocente ed accogliente, si sarebbe presto
trasformata nella mia tomba.
Ignaro di
tutto questo abbasso i pantaloni. Qualcosa non sembra funzionare. Il siluro
marrone è troppo duro; mi faccio coraggio e provo a rilassare i muscoli; è
doppiamente difficile in quanto mi trovo ad affrontare una toilette senza
tazza, che qui chiamano: la turca. Lo stronzolo si fa prepotente ma non vuole
uscire; comincio a preoccuparmi. La soluzione migliore sembra quella di
ritentare più tardi; ma quando mi metto in piedi, mi sento come un paletto
infilato nell’ano su fino allo stomaco; non posso camminare. Cazzo, non posso
camminare!
Comincio a
sudare freddo; mi accuccio e tramite un sordido tastamento, realizzo che lo
stronzolo è troppo largo e che non potrebbe mai passare per il mio ano già
eccezionalmente dilatato. Da qui in poi, in preda al panico, comincio a pensare
a varie soluzioni. Intanto comincio a scavare, sì proprio a scavare, cercando
di limare i bordi dello stronzolo; la cosa mi fa piuttosto ribrezzo ma, mi
appello allo spirito di sopravvivenza, per cui tutto è lecito, ma non funziona!
Comincio a mettermi in piedi, in una posizione diciamo alla mezza pecorina,
respirando affannosamente; ottengo solo delle grandi oscillazioni anali che non
fanno altro che aumentare il dolore che è sempre più forte. Ormai sono più di venti
minuti che il mio ano è in dilatazione; non riesco più a pensare con lucidità,
che fare adesso? Avrei bisogno di aiuto, ma l’imbarazzo è ancora più forte
dell’emergenza e poi non posso uscire di qui in queste condizioni. Il dolore si
fa sempre più acuto, comincio ad impazzire, non controllo più il movimento
delle mani; sono fradicio di sudore e sono rimasto completamente nudo. Dovrei
chiamare una ambulanza, ma che gli dico? “Non riesco a cagare e sto morendo nel
cesso?”; non sono ancora pronto ad una umiliazione del genere.
Il problema è
che lo stronzolo mi è rimasto bloccato un po’ fuori dal buco e non va né su né
giù; la situazione è sempre più seria, ormai è passata quasi un’ora; sento il
frastuono del locale, le grida, la musica; tutto rimbomba e le pareti del bagno
sempre più scure, ondeggiano e sembrano sudare. La persona con cui ero, il
trovatello alcolico, bastardo, avrà trovato qualcuna o qualcuno o qualcosa,
perché non gli viene in mente dove io sia e da quanto tempo, e probabilmente
neanche gli frega. Io chiuso nel cesso sento che il mio destino è segnato. No,
non posso finire così! Il dolore ormai acutissimo ha preso il sopravvento,
sento il bisogno di vomitare e lo faccio a spruzzo e ovunque; ho la nausea e
vedo tutto distorto, il battito del cuore rallenta e accelera di continuo e
sento freddo come se fossi un ghiacciolo, la differenza è che invece di un
bastoncino di liquirizia, ho infilato in me, un nano nero alto e largo! Ci
siamo, sto per svenire, il dolore anale mi ha consumato; mi faccio forza. Mi
appello ai santi dei cessi e con sforzo immane e dolori lancinanti, piano piano
indosso i vestiti sparsi davanti a me e lordi di vomito rappreso. Esco dal
cesso barcollando e piangendo; attraverso una barriera umana danzante che si
apre davanti a me, nauseata e terrorizzata; cado e mi rialzo più volte, finché
arrivo all’entrata e urlo: “Call me an ambulance!!” Pensano che sia drogato.
Non riesco a stare in piedi. Non riesco ad aprire gli occhi ed a mala pena
bofonchio qualche parola. Quando arrivano, mi tocca spiegargli con grande
difficoltà lessicale e psicologica cosa ho. Mi portano in ospedale e lì,
aspetto quasi un’ora. Svengo, mi riprendo, comincio a dare di matto, urlo, mi
dimeno, sbavo; da come mi guardano, temo che stiano per chiamare un esorcista.
Ad un certo punto arriva un dottore con due infermieri che a turno abusano di
me usando ripetutamente, attrezzi visti solo in musei di tortura medievale, e
dopo aver cacciato dentro il dardo nero, supposte di glicerina e non so quanti altri
strumenti metallici, anche tutta una serie di liquami infilati per via orale.
Dopo qualche ora uno stimolo improvviso mi fa volare verso il bagno e
finalmente mi apro ed esce dal mio corpo, non so proprio da quale buco, un
magma nero a parte solido e parte no. Sono riusciti a svuotarmi!
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