L'alieno, di Andrea Quadrani

La giornata perfetta. Una mattinata tersa, sbattuta da un vento fresco e marino. La luce, persino invadente, dava un’idea di pulizia. Il cielo era di una bellezza inusuale, con un colore blu cobalto. Il silenzio delle altezze era rotto solo dal rumore degli esseri alati, di varie dimensioni, che solcavano l’aria. Il quadro d’insieme era di calma e lucentezza. La missione era la solita: individuare e, se possibile, catturare qualcuno di quegli esseri alati volanti. Gli scienziati avevano bisogno di certezze. Certezze alle loro idee e sperimentazioni, riguardo ad un’ nuova macchina da volo. Ne avevamo effettivamente bisogno: in alcune zone del nostro pianeta, era difficile il volo con le macchine finora in nostro possesso. Servivano idee nuove, spunti diversi. Quindi le missioni erano aumentate. E dopo molto volare e inseguire, si portavano a casa, questi esseri alati. Per studiarli. Poi se volevano, si facevano restare; altrimenti si riportavano indietro.
Quella luce perfetta era giusta per lo scopo. Giusta perché permetteva la visione completa del cielo, per individuare gli esseri alati e anche per decidere volta per volta, se usare il Congegno Sparitore. Questo congegno era usato quando il sistema Trova Umani, ne segnalava qualcuno nelle vicinanze; allora si premeva un bel pulsante e zac! Si diventava invisibili. Io non ero d’accordo per questa tattica. Mi piaceva essere un po’ protagonista e farmi vedere qua e là. Gli ordini erano però diversi: non farsi assolutamente vedere da nessun umano. Qualche volta però trasgredivo e a sentire i racconti al Circolo Piloti su alla base, non ero nemmeno l’unico. Vedere correre tutti quegli umani con la testa e le mani rivolte verso di noi, urlanti e agitati, per aver visto qualcosa d’inconsueto, ci faceva sentire importanti. Ci piaceva. Molti di noi lo facevano spesso. I nostri capi tolleravano a stento queste nostre azioni. Avevano bisogno di noi e dei nostri arditi voli sopra le terre straniere.
Quel giorno dunque mi consegnarono la Macchina R. La più maneggevole in nostro possesso, anche se una delle più lente; dotata di un ampio vano trasporto; la mia preferita. Era il secondo giorno di seguito che effettuavo quel tipo di missione. Ed era il secondo giorno di seguito che sorvolavo quella zona. Era stata individuata come popolata da molti esseri alati di vario tipo e dimensione. Oggi avrei dovuto catturarne uno un particolare: un tipo di essere alato particolarmente grande ed elegante, dotato di un’importante apertura alare, che avevo già quasi preso il giorno precedente e per un soffio mi aveva beffato.
Ero quindi appena arrivato nell’area operativa e la sorvolavo già da qualche minuto. Negli ordini che avevo ricevuto, c’era la segnalazione che per gli umani della zona, quello era un giorno di festa; quindi ci sarebbero stati degli assembramenti e bisognava stare attenti ad usare lo Sparitore nel modo e momento giusti. Vabbè dai, io sono qua a lavorare e io decido!
Era tutto uguale al giorno prima: il bel prato verde tagliato fino fino; la casa bassa e candida architettata a puntino; un filo di fumo e qualche fiammata di fuoco proveniente da uno strano altare rotondo, fatto di pietre appoggiate una sull’altra; una tavola lunga apparecchiata per più umani; qualche essere quadrupede terrestre nelle vicinanze; risate e voci candide provenienti dalla casa. Anche il giorno prima avevo individuato quelle stesse voci. Oggi ce n’erano altre in più. Giocose anch’esse.
Appena gli umani iniziarono a uscire dalla casa, accelerai al massimo schiacciando il pulsante dello Sparitore e la Macchina R, perfettamente docile e precisa ai comandi, s’impennò nel cielo. Feci un gran giro e tornai nella zona.
Accadde tutto molto velocemente. Anche se molto esperto, mi sfuggì di mano la situazione. Per fortuna gli esseri umani mi vennero, senza saperlo, in soccorso.
Ero in picchiata lenta verso il prato in assetto invisibile; l’essere alato giusto, il mio obbiettivo, stava transitando lento e placido sotto di me; volava da destra a sinistra rispetto alla mia posizione; con le ali compiva movimenti lenti e languidi, come una danza pacata e ammaliante. Ero molto vicino a lui. Incrociai la sua rotta, proprio davanti al tavolo lungo, dove gli umani stavano cibandosi e bevendosi. Ero talmente preso dalla bellezza dell’essere alato che invece di schiacciare il pulsante per la sua cattura, schiacciai quello del ritorno alla visibilità. L’essere alato, alla mia apparizione, non si preoccupò neanche troppo; accelerò semplicemente il passo e volò sparendo verso sinistra. Non ci badai ormai. Il mio problema era che ero visibile, a poca distanza dagli umani e in più mi ci stavo dirigendo contro, perché preso dall’agitazione, avevo per un attimo perso il controllo della macchina. Mi avrebbero visto! E da molto vicino anche! L’aver perso l’essere alato, era il meno. Già sentivo le parole del comandante: ti avevo detto di allenarti alle manovre d’emergenza. Sì me l’aveva detto certo sì! Era la fine! Avevo chiuso per un attimo anche gli occhi e li riaprii subito subito per riprendere la situazione e cabrare per sottrarmi ai loro sguardi. Quando aprii gli occhi un attimo prima di schiacciare il tasto giusto e sparire di nuovo, vidi, vidi il favore che mi fecero: nessuno di loro si era accorto di nulla; erano intenti, divisi in due gruppi, a guardare divertiti, immagini provenienti da due schermi, che qualcuno di loro aveva acceso e teneva in mano.

Mentre salivo veloce nel cielo blu, le loro risate si fusero con la mia!

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