Ritrovamenti, di Andrea Quadrani
Camminando lento nei viottoli del
giardino sotto casa, guardo spesso per terra. Un po’ per timidezza e un po’ per
curiosità. Curiosità di trovare qualcosa di nuovo, o di diverso, oppure di
colorato. Quella mattina camminavo molto lentamente, per via di una certa
stanchezza che da giorni mi assillava, quando, vicino allo zoccolo di ferro
battuto nero, di uno dei lampioni irradiatori di luce del giardino, vidi per
terra qualcosa di insolito: una piccola striscia di stoffa colorata. Mi chinai
a prenderla. Era morbida e aveva un che di familiare. La girai più volte per
capirla meglio; non era un pezzo lacero o sporco, aveva delle sue fattezze;
aveva un suo perché che mi sfuggiva alquanto.
Ritornai a casa, mi sedetti su una
sedia, dopo aver aperto la finestra, per far girare un po’ d’aria fresca nelle
stanze e dopo aver preso una bella lente d’ingrandimento, spessa e pesante. Si
trattava di un mistero. Era una striscia di stoffa, pareva di seta al tatto, di
colori ben mischiati tra loro: giallo dorato, verde scuro e rosso. Certo la
descrizione non rende un’idea di piacevolezza, però c’era qualcosa che legava
bene tutto: colori, dimensioni, materiale.
Mentre rigiravo tra le dita il
ritrovamento, planò nel terrazzino, senza minimo sforzo apparente, l’uccellino
mangiatore di briciole. E si mise a farlo. Anche dopo, con una piroetta ascendente,
a mangiucchiare le foglie del pesco. Poi si avvicinò alla porta per fare
conversazione come sempre. Io fintamente non lo badai. Ma lo tenevo d’occhio,
sapevo che avrebbe iniziato lui e aspettavo.
- Voi umani siete così prevedibili.
Mi spiazzò il suo inizio.
- Perché prevedibili, in che senso?
- Prevedibili nei pensieri, nei giudizi
e nel credere sempre e comunque all’apparenza.
- Diamo questa impressione? Non è molto
bella.
- Capita spesso mentre volo qua e là,
captare parole e silenzi tra le parole, e discorsi tra voi, o anche da soli,
quando vi capita e sempre di più. L’istinto mi dice di stare all’erta. C’è
qualcosa nell’aria. Negatività diffusa, che tende a colpire, non solo
fisicamente, anche noi animali volanti. Neanche volando riusciamo a restarne
immuni. È così triste.
Restai in silenzio ad ascoltarlo.
Potrebbe candidarsi lui a fare il sindaco o altro; ne guadagnerebbe di sicuro
la popolazione.
Pensai invece di fargli una domanda:
- Perché vieni spesso qua? Non c’è
nessun altro che ti dia da mangiare o bere?
- Qua mi diverto, è bella la vista e
posso parlare con te; non hai timore di relazionarti con un uccellino. Mi sento
partecipe della tua vita e, immagino tu della mia.
Stava per partire, ma lo fermai. Presi
in mano il ritrovamento con l’indice e il pollice della mano destra e glielo
mostrai, insieme chiesi:
- Sapresti dirmi cos’è?
Tornò indietro e girò un paio di volte
attorno alla mano e l’oggetto penzolante. Poi atterrò e sentenziò:
- E’ una cravatta di un topino.
- Una cosa?
- Vedi? Come dicevo prima. Perché un
topino non può mettersi la cravatta; perché un topino non può sentirsi
elegante. Luoghi comuni e ignoranza umana. E’ una cravatta, di buona marca e
fattezza, per un topino di taglia media; tra poco c’è la sagra e festeggeranno
anche loro, come tutti quelli che possono farlo, lontano da dubbi ed etichette.
E ripartì verso il cielo, senza
ascoltare la mia risposta.
Non ci sarebbe stata comunque. Restai
con la cravatta in mano un paio di minuti con i pensieri che giravano nella
testa.
Uscii da nuovo da casa, camminai nel
giardino fino al lampione giusto e rimisi la cravatta, dove l’avevo trovata.
Sperando che il topino la ritrovasse e la usasse.
Ritornando a casa mi sentii osservato,
era una delle mie idee del periodo, le solite stranezze; non immaginavo che
dietro di me tra i ciuffi di erba verde, due piccoli occhi neri mi esaminavano.
Commenti
Posta un commento