La borsa della spesa di Einstein, di Andrea Quadrani
Appena svegliato, mi alzo e corro alla
finestra e guardo; nevischia lentamente; avevo il proposito di uscire e lo
seguo ugualmente, prima che voli via insieme ai cristalli di questa strana
nevicata; mi vesto con calma, come con calma, prima, ho bevuto il caffè, unico
protagonista della mia colazione: faceva schifo; pazienza. Scendo le scale del
palazzo ancora silente e nell’androne incontro una vecchina; le auguro un buon
anno e lei ricambia scappando via velocemente, non da me, ma dall’augurio che
le ricorda il tempo che passa e che l’avvicina al passaggio finale. Esco,
freschetto è; il nevischio è secco e non si attacca al mio giaccone, quindi
inizio a camminare, prima lentamente, poi sempre più in fretta, per scaldare
bene bene i muscoli e quindi me stesso. Ho deciso di fare un certo pezzo di
strada con, come unica sosta, il supermercato; mi mancano a casa due cose
essenziali e le devo recuperare al più presto. Arrivo allora al locale colorato
e vi entro senza fretta: so già che oggi dopo feste e baccanali, la gente, non
completamente satolla o forse sì chissà, invaderà questo tempio moderno. Infatti,
la popolazione, formata da anime veramente errabonde, si comporta come se
domani dovesse scoppiare una guerra termonucleare totale; a parte che la
possibilità ci può essere, che ne sappiamo noi, in questo momento ne siamo però
all’oscuro. Mi fermo a osservare questo girotondo di corse tra scaffali e
banchi frigo, e mi viene il sospetto che all’oscuro ci sia solo io. Non voglio
avere a che fare col futuro, vorrei crearmelo da me, è per questo che mentre
tutti corrono qua e là, io mi muovo lento e placido. E dopo aver preso ciò che
mi occorre, lento e placido giungo alla cassa; davanti a me c’è un ometto con
un carrello stracolmo davvero di oggetti di tutti i tipi, colori, dimensioni e,
spero per lui e la sua famiglia, gusti; è eccitatissimo e mette gli oggetti sul
tappetino con evidente agitazione sempre più marcata. Io dietro di lui con
cinque oggetti dichiaro la mia non-fretta, indirizzando occhiolini con la
cassiera, che nel medesimo modo mi ringrazia. La merce dell’anima in pena, ha
assunto la forma di una piramide egizia; la cassiera è scomparsa alla mia
vista; ma ne sento la voce, che con controllata e ferma gentilezza, cerca di
tranquillizzare l’omino. Finita la lunga operazione ed emessa la terrificante
(a mio avviso), sentenza monetaria, dopo aver pagato col bancomat-to, l’anima
persa cambia velocità e, borbottandolo a bassa voce, annuncia la sua intenzione
alla lentezza. La cassiera ed io ci guardiamo, per niente meravigliati ed io anzi
mi permetto di esaltare, ad alta voce, Einstein e la sua Legge sulla Relatività
del Tempo, così bene spiegata dall’omino davanti a noi.
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