Vomito, merda, sangue e gentilezza, di Andrea Quadrani




Sono qua, dentro questo cesso di cesso, di questa stazione viva di anime, ma morta delle stesse. Non è stato pulito da molto, come ormai tutto di questo tempo mingherlino e sbadato. La puzza mista che ammiro da questo buco, ricorda alla lontana casa mia, nei tempi migliori, quando lo stesso uccellino-mangiatore-di-briciole si rifiutava di passare attraverso la linea di demarcazione tra il fuori e il fuori, e sentenziava stando ritto sulle sue zampine nell'aria fresca del terrazzino. L'uccellino. È un po' che non mi fa più visita. O i suoi discendenti. O i suoi amici. Ogni tanto fantastico di dove sia. E mi viene in mente il blu, il verde, l'azzurro, il bianco. Anche il mio uccellino compagno di alcune battaglie mal vinte e di molte perse, mi guarda da laggiù, in mezzo alle mutande che escono dai pantaloncini fradici di acqua gialla. Pare dirmi qualcosa. Non lo ascolto però. Non voglio. Mi direbbe che lò tradito, come la lingua italiana qualche parola fa. Tradimenti e aspettative. Parole diverse, concetto uguale. Tutti in attesa che tu faccia uno sbaglio per colpire duro o di taglio, proprio là dove fa male. Pare che si allenino per questo. Che vivano per questo. Che mangino e bevano per questo. E io duro a caderci sempre e cercare di opporre un po' di gentilezza, che viene sempre travisata. Non viene capita. La spiego male non trovo altra spiegazione e con l'energia mentale che in questo momento non ho, non spiego proprio un cazzo di niente. Possono andare tutti a farsi un giro a fanculo, ridente località dove molti prosperano e si divertono. Allora andateci! Cosa aspettate? L'invito scritto! Quello orale non basta più? Ah già, di orale voi intendete ben altro. Vabbè vi perdono allora. Che chi ha la mente porca vive in eterno. 
Mi siedo dentro questa ceramica turca. Il mio corpo periforme si adatta bellamente al buco. Lo stimolo arriva e innaffio di un bel marrone chiaro che ricorda il gelato alla nocciola, il bianco incrostato del fu sanitario. Il vestiario sotto l'ombelico ha ora l'aspetto di un unico capo mimetico per il deserto dei miei pensieri. Aridi. Inutili. Sporchi. 
La dignità del momento fa si che dai meandri delle viscere, arrivi lo stimolo che passando per le fauci trabocchi la futile colazione del mattino, proprio uguale a quella da 'mulino bianco': sigaretta, goccio di birra da un vetro avanzato da altri, sigaretta, pezzo di pane verde, sigaretta. 
Mi giro verso il pulsante che fa sparire tutto dagli occhi, e vomito, vomito tutto e di più. Vomito anche parole e pensieri non detti. Vomito amicizie sfuggite tra le dita, come acqua biliosa. Vomito finte anime che mi hanno succhiato e poi buttato. Vomito odio e amore, incarnati nel mio profondo, e che ora, codardi, escono e si spalmano sulle piastrelle, come tutto il resto. La testa rotea un po' ma me ne frega assai. 
Tiro con la poca forza rimastami l'unto tubo di gomma legato al braccio e cerco con l'ago una vena sana. La ricerca è quasi inutile. Dopo tre quattro tentativi, col sangue che cola giù a rivoletti giocosi sui peli del braccio, trovo il mio tesoro, e affondo l'ago, e spingo lo stantuffo, e mollo la presa con la bocca, e giaccio gaudente sprofondando nel piacere. 
Tutto gira nel modo migliore finalmente e mi viene da ridere tanto son felice e rido rido sempre più forte. Anche la mia anima ride e uscendo dal mio corpo resta là a fissarmi un attimo. Io e la mia anima. Uno davanti all'altra. Lei è felice e io piango di gioia. Sono attimi preziosi come quelli tutti di ogni vita. 
Ho la fortuna di guardarmi e capire che la gentilezza è servita sì nonostante tutto. E chi se ne frega del resto e di quelle finte anime che non si sono mai fatte i cazzi loro, se non per farti pesare la loro presenza e potere colpirti colpirti in continuazione senza tregua, senza remore, contraltari di molte altre anime serene e amiche compagne di vita. La mia anima mi guarda con tenerezza che colgo e che mi commuove. Cerco di replicare allo stesso modo e forse ce la faccio. Lascio cadere la siringa e porto la mano con fatica in avanti lei uguale e stringiamo questi arti bianchi. 
Siamo felici ora. 
E in pace.










Commenti

Post più popolari