Parapì Parapà, di Andrea Quadrani
L’astronave era partita già da qualche
tempo e non ero ancora conscio del compito che mi avevano dato. All’inizio
pareva tutto chiaro, ma adesso ad anni luce da casa, la situazione era
parecchio diversa. Non che volessi cambiare i termini della missione che erano
precisi, ma mi pareva tutto così strano, così irreale: partito dal mio amato
pianeta Parapì-Parapà alla ricerca di una forma di intelligenza assurdamente
assente dal nostro pianeta, gli ingegneri. Lo so che pare inverosimile, ma per
qualche strana situazione del caso e del fato, nel nostro pianeta, dove tutti
erano geni portati allo studio delle materie più ardue importanti e difficili
di tutto l’universo, solo l’Ingegneria mancava all’appello. Tutti i geni del
pianeta avevano provato a porvi rimedio, ma essendo essi tutto tranne
ingegneri, non ponevano tanto sforzo per risolvere l’enigma, visto che ciò
avrebbe causato la perdita di potere di uno degli altri gruppi di studiosi. Il
pianeta era diviso in Caste di Sapere, ed il progetto di ricerca dell’intelligenza
dell’ingegnere era stato portato avanti in segreto ed affidato a me ed al mio
equipaggio di incolti, esseri ormai assai rari nel nostro pianeta; uno scalino
più in su degli animali, ma parecchio più in basso della maggior parte della
popolazione di geni. Erano essenziali gli ingegneri per una questione vitale
per il pianeta, non a breve termine per fortuna, ma a lungo termine la
situazione evolveva in maniera pericolosa e solo la casta inesistente degli
ingegneri avrebbe potuto risolverla.
L’astronave era dotata di un rilevatore
di presenza ingegneristica e di un raggio acchiappa animali o geni dotati di
quell’intelligenza. Tutto faceva pensare che li avremmo trovati in un piccolo
pianeta pieno di acqua e con qualche terra emersa che stavamo per raggiungere;
era il terzo che visitavamo, di una lista di diciannove; potevamo essere
fortunati; il problema maggiore è che non ce ne serviva uno o due, ma una
quantità assoluta calcolata dalla nostra casta di matematici: venti, e tutti
insieme. Ci voleva un sedere stellare per una probabilità così; maledetti
matematici! Eravamo appena entrati nell’atmosfera del pianeta acquatico che il
rivelatore iniziò a gracchiare; che rumore fastidioso faceva, d'altronde
costruito senza l’aiuto di ingegneri che ti potevi aspettare, eh! Ma se
funzionava, tra qualche tempo apparecchi silenziosi avrebbero popolato
Parapì-Parapà. Mentre pensavo a queste amenità arrivammo sulla perpendicolare
dell’assembramento di ingegneri. Erano impegnati in qualche attività didattica
perché erano seduti a delle tavole in un giardino sulle rive di un fiume con
una cascatella vicino; che bello essere geni vero? Feci puntare la macchina a
forma di spirale per acchiappare le intelligenze superiori, quando la lente di
ingrandimento accanto al marchingegno rivelò qualcosa, la trasmise al computer
e da questo all’allarme. Nell’astronave si scatenò l’inferno sotto forma di
sirena stridente e assordante, ah la mancanza di questi ingegneri!; andai allo
schermo per capire il motivo di tutto questo frastuono: tutto spiegato; la
lente accanto al puntatore aveva letto una paginetta che un ingegnere teneva in
mano e l’aveva tradotta istantaneamente: stavano mangiando e bevendo poco o
niente; questo era molto negativo, noi a Parapì-Parapà mangiamo e beviamo sei
volte al giorno le meraviglie preparate dalle caste prefisse allo scopo.
Cancellai il programma, impostai il computer per andare verso il quarto
obbiettivo della lista. Lasciando il pianeta terraqueo per un attimo pensai a
quei poveri ingegneri anoressici lungo il fiume. Se ne vedono di stranezze
nell’universo.
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