Vento, di Andrea Quadrani


Un vento pazzesco e non semplicemente impetuoso, ma a dir poco vandalico, deflorò con cupidigia la porta, dopo aver danneggiato l’interno dell’abitazione. L’esterno, non so. Ero rannicchiato dietro al divano, tentando di asciugare le lacrime che mi scendevano dagli occhi arrossati; non potevo credere a quello che stava accadendo: un piccolo uragano di vento e pioggia aveva colpito la mia abitazione improvvisamente ed io non potevo farci proprio niente. Ero all’erta già dopo le notizie di quello che era successo giù nelle altre città, sul mare, ma mai avrei pensato che anche qui potesse capitare una sciagura simile. Ormai nessuno è più sicuro in nessun posto. La tanto decantata potenza dell’era industriale, l’uomo padrone di tutto, dalla natura alla tecnologia, spariva, spazzato via soprattutto dalle sue illusioni. L’illusione del potere principalmente. Non mi ero preparato mentalmente e fisicamente all’evento ed ovviamente ne avevo pagato le conseguenze. Ora ero là in compagnia della mia paura che velocemente stava diventando terrore. Poteva essere la fine se non facevo qualcosa e subito. Il vento spazzava la stanza dov’ero, senza interruzione, con violenza continua e, cosa strana, la temperatura saliva e scendeva improvvisamente come se stesse scegliendo se congelarmi o arrostirmi. Era il vento che avrebbe deciso la mia fine! Dovevo muovermi e subito, mi aveva colto alla sprovvista, ma avrei presto avuto la mia rivincita! Lentamente girai attorno al divano, coprendomi il viso con un piccolo cuscino e strisciando avanzai fino al lato della porta. Mi affacciai lentamente per dare un’occhiata alla situazione. Il telefono era a portata di mano, se lo raggiungevo potevo sperare che qualcuno potesse aiutarmi. Se non ero l’unico con quel problema adesso. Chissà! Mi appiattii il più possibile ed ancora più piano di prima, uscii dalla stanza andando incontro alla fonte ventosa; proprio in quel momento, bastardo, il fiotto passò dal torrido al gelido. Mi sentii quasi svenire ma riuscii a raggiungere il telefono, a sollevare la cornetta ed a digitare da disteso a pancia in giù il numero giusto, almeno speravo. Squillava, squillava. Perché nessuno rispondeva, rispondete vi prego, non ne posso più…finché sentii una voce e prima che potesse dire qualcosa, gridai con la voce strozzata:
“ Venite vi prego, è impazzita l’aria condizionata, abito in via…!!”. 


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