Antonietta, di Andrea Quadrani

Due splendide scarpette rosa di Gucci solcavano l’androne e le spaziose sale della sua nuova dimora. Finalmente aveva cambiato lavoro, purtroppo per lei e per fortuna dei suoi nuovi clienti di vecchie vesti, di un tempo. Infatti, la di sua madre e la di sua nonna, vecchie professioniste, avevano indirizzato anche lei alla ‘professione più vecchia del mondo’, che svolgeva con grande sensibilità ed anche audacia; era famosa per le sue performance vestita solo con un paio di scarpe basse rosa di Gucci. Venezia era la base delle loro avventure generazionali e dopo la morte della capostipite, madre e figlia avevano rilevato il bordello di periferia e l’avevano trasformato in un bellissimo ristorante che proponeva prodotti ittici di buona qualità e fattura. Si era circondata dei lavoratori del suo e di altri bordelli, che ora si erano riciclati facendo i camerieri e i portapiatti; il buttafuori, che aveva sempre avuto velleità culinarie, era diventato il cuoco principe, e il suo aiuto cuoco era il raccoglitore di preservativi usati. Insomma erano riusciti a riconvertire una proficua attività e trasformarla in un’ulteriore proficua attività. Era un lavoro simile in fondo: si trattava di essere di nuovo puttane, ma di esserlo in maniera più fine ed elegante.
Era proprio per questo motivo che andammo a trovare Antonietta nella sua nuova veste. Eravamo curiosi, eravamo come lei e volevamo controllare come si comportava nei nuovi panni. Eravamo un gruppetto eterogeneo di donne e uomini, vogliosi di godere come un tempo e forse di più. La cena fu una danza di piacere, con Antonietta che saltellava da un tavolo all’altro dispensando saluti ai clienti e consigli ai suoi fidi e fidati lavoratori.
Il ristorante era poi molto bello, sobrio nella sua essenza di dispensatore di piacere. I clienti che sorbivano tali gusti e profumi, erano beati nei loro volti beoti, inconsci di quello che sarebbe stato, e che è sempre il momento meno amato, da tutti quelli che brucano all’albero del piacere: il pagamento dell’atto, qualunque esso sia.
Noi eravamo tranquilli, ma la tranquillità, si sa, è un lusso che non ci si può permettere e, infatti, puntuale, ci giunse l’Antoniata.
L’Antoniata era una famosa forma di amore sado-maso-estremo, che nel bordello della suddetta era praticato in una sala nascosta. Solo la descrizione della pratica a orecchi non avvezzi a queste situazioni, poteva portare alla cecità o peggio alla pazzia. Lei, furba e sagace, aveva riciclato l’Antoniata, anche nella nuova attività. I conti erano stratosferici rispetto all’idea iniziale e, la loro lettura era particolarmente dolorosa.  Noi cechi non siamo diventati, ma pazzi sì; più che pazzi-normali, pazzi-arrabbiati. Il trauma è stato tale che per alcuni giorni quando vedevamo dei vestiti o scarpe di Gucci, ci scatenavamo e ci contorcevamo, come posseduti da dèmoni strani. Due cose da quel giorno ci ricordammo: la prima, che Antonietta era a tutti gli effetti una grandissima  professionista e la seconda che, dato che tutto è sempre insegnamento, non era possibile che ci capitasse di nuovo. Eravamo in errore ovviamente. 

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