Casuale incontro, di Andrea Quadrani

Sono qui a raccontarvi questo meraviglioso incontro accadutomi questa estate: quando conobbi, parlai e guardai, una meravigliosa creatura del genere umano. Partiamo però dall’inizio per farvi comprendere bene.
A me piace cantare, soprattutto di giorno e nella prima parte della serata in estate. Vivevo in quel periodo in una terra verde e meravigliosa. Il nome non lo so, ma vi ero giunto là in seguito ad un grave incendio occorso alla mia precedente dimora. La casa che mi accolse era pulita e linda. Tutto il giorno mani veramente operose, lustravano il lustrabile. Il luogo dove preferivo stare, e cantare, era il più pulito di tutti. E da tutti si distingueva per il colore. La maggior parte degli ambienti della casa era bruno e scuro e  verde. Là invece brillavano il bianco e l’azzurrino.
I punti dove mi sollazzavo maggiormente, erano una vasca col bordo molto basso di uno strano materiale liscio bianchissimo e una parete dello stesso colore con qualche tocco di azzurro cielo. Pareva un paradiso. Profumato sempre. E bagnato al punto giusto: come piaceva a me. Accadevano però spesso dei fatti inquietanti che m’impaurivano e mi angosciavano. E sovente mi facevano riflettere sulla mia vera natura. Non ciò che pensavo io di me. Ma gli altri, gli altri, come mi vedevano. Male forse, o diverso, o non degno di esistere, perché ogni volta che arrivava uno di quegli esseri alti a due zampe, o urlava a squarciagola, ho un cuore anch’io mi volete far morire? Oppure cercava di uccidermi tramite schiacciamento ed io correvo qua e là, col terrore dell’esito fatale a ogni istante.
Quando arrivò, lei fu tutto diverso. Non solo era un’anima gentile, ed io lo percepii con l’istinto quasi subito. Lei tentava spesso di fare una conversazione e a cantare insieme con me. Lo faceva ogni mattina quando si alzava ed entrava nel mio paradiso. E ogni tanto la sera, quando tornava, penso, dopo qualche passeggiata. Col corpo che profumava di sudore ed erba e si faceva cadere l’acqua addosso e cantava insieme con me, appoggiato alla parete e soggiogato dalla sua bionda lucentezza. Cercavo di capire quando mi parlava, dal tono della voce, cosa mi dicesse. Immaginavo. Cercavo anche di rispondere. Perché magicamente mi sentivo al suo stesso livello, interiore, di anime.
Una mattina arrivò vestita e non nuda, si accucciò per parlarmi più da vicino e mi parlò lungamente. Io chiusi gli occhi e ascoltai la sua voce, il suo canto. Quando li riaprii, non c’era più. Saltellai verso la finestra e la vidi camminare via, girandosi un paio di volte a salutare me, piccolo grillo campestre. 

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