Un Regalo inaspettato, di Andrea Quadrani


Una quindicina di anni fa, quando vivevo ancora a Roma con mio padre, ogni tanto periziavo qualche cantina privata. Il più delle volte non c’era niente di reale valore; erano delle scorte di vini frutto di regali, messi via in attesa della grande occasione: questa frase ha causato la morte di migliaia di bottiglie di vino. Infatti ‘grandi occasioni’ non ci sono mai state, o se ci sono state, non sono state giudicate abbastanza grandi per quella data bottiglia; così il tempo è passato e la bottiglia col vino chiuso dentro, frutto della passione e del lavoro di molti contadini, ha iniziato a sbiadire, a consumarsi, a spegnersi; e il più delle volte è morta. Per carità, io consigliavo a tutti di aprire alcune bottiglie, di cui non ero sicuro della loro fine; non si sa mai; ho assistito a veri miracoli e resurrezioni vinicole. In realtà la maggior parte dei richiedenti le perizie, voleva ‘far cassa’; per quello non c’era problema: bottiglie di gran valore non ne ho mai trovate. 
A parte una volta. 
Un giorno fui chiamato da un amico di mio padre, un nobile di gran lignaggio, nel suo ufficio, in centro a Roma, in via Giulia. 
Era uno di quei rari esempi di nobile di vecchio stampo, anche se giovane di età; come lavoro, seguiva le numerose proprietà della sua famiglia e ne curava la gestione; un lavoro complicato e faticosissimo, che lo portava in giro per il mondo durante la settimana, a scadenze programmate. La famiglia infatti aveva un patrimonio in ville, terreni, case e castelli, davvero smisurato; una delle cose che mi aveva fatto sempre impressione, erano i ventitré chilometri quadrati, non ettari, proprio chilometri, in Maremma. Non era un gaudente, come lo era stato suo padre; tutto l’opposto: lavoro, lavoro, lavoro e astemia. 
Mentre il padre, come attività, quasi missione, nella vita, era stata quella di aver cercato in tutti i modi, di dissipare il patrimonio familiare, in feste, cibo, donne e vino, di quest’ultimo era un appassionato ed intenditore. 
La famiglia era originaria di Caserta. Possedevano una villa nel centro di Capri. Era quella la mia meta. Era là, la cantina che dovevo periziare; la cantina dei vini di suo padre, che nessuno aveva toccato, dalla sua morte. 
Le bottiglie giacevano laggiù, al fresco, distese, ad attendere la loro sorte. Il mio compito era contarle, valutare le loro condizioni e stimarle nel prezzo di una possibile vendita. 
Mi organizzai per andare e tornare da Roma a Capri, in una giornata; aiutato in questo anche dalla celere servitù di xxx. 
Giunto in villa, fui accolto con mille attenzioni e gentilezze, dal personale, che, ovviamente, era stato informato del mio arrivo. Xxx, mi aveva preannunciato la meravigliosa particolarità della casa: lui si prendeva solo dieci giorni di vacanza all’anno. Sempre attaccato a telefoni, cellulari e quant’altro, tutto il resto del tempo, aveva voluto preservarne la villa, a parte la zona di vita e lavoro del personale, come del resto era anche stata la volontà del padre. Per dieci giorni viveva isolato. 
Infatti: non c’era energia elettrica, al suo posto candele. Non c’erano telefoni di nessun tipo e forma. Non c’era televisione o computer, al loro posto la spettacolare vista sul Golfo di Napoli. Per avere l’acqua in bagno, c’erano pedali e corde, per manovrare le pompe e sfruttare il serbatoio interno. Si respirava meraviglia e silenzio e tranquillità e piacere. Davvero. Dopo aver sorbito un delizioso caffè, mi hanno accompagnato nella cantina: 
vi scrivo davvero che l’emozione è ancora vivissima in me. Cinquecento Bottiglie Mitiche. Quelle che qualunque appassionato, qual sono io, sogna anche la notte. Praticamente tutte francesi, a parte alcune di Brunello Biondi Santi, qualche Barbaresco di Gaja e qualche Chianti. 
Le annate più antiche e leggendarie (si percepiva nell’aria che il padre fosse stato un amante del buono e del bello). 
Ecco l’affascinante rimembranza; ricordo ancora che mentre scrivevo sul block notes e mi tremavano le mani per l’emozione, accarezzavo il vetro delle bottiglie e rimanevo in estasi, in silenzio a occhi chiusi per qualche secondo; così, ad ogni bottiglia. 
Quasi ottanta bottiglie erano di Château d’Yquem, tra cui diverse magnum (!) dei millesimi: 1921, 1937, 1959 … 
Una settantina di Borgogna di DRC come Montrachet e La Tache di millesimi sparsi, tra cui due 1945 (!) e due 1959 (!) per etichetta … 
Una decina di Dom Perignon tutti del 1959 … 
Una trentina di Château Pétrus di varie annate tra le quali cinque del 1929 (!) ed una del 1945 (!) … 
Ma la maggior parte di questo meraviglioso sogno era formato da quasi duecento bordolesi misti, tutti però ‘di livello’: principalmente Château Lafite-Rothschild, Château Margaux, Château Latour, delle annate varie, però con molti 1947 e 1959 (!). 
In mattinata avevo quasi completato la conta e scritto la lista; le bottiglie erano in uno stato magnifico, tutte incartate e con le etichette protette; a parte qualche decina di bottiglie, dove il liquido era un po’ calato, il resto erano in condizioni ottimali. C’era un tesoro là dentro: di gusto e di soldi. Dovevo nel pomeriggio controllare alcuni dettagli; quindi uscii dalla cripta ed andai ad avvertire che uscivo per mangiare qualcosa; al ché la cuoca, una campana verace dalla parlata lenta, mi informò che il Signorino, sì, disse proprio così, Signorino, desiderava che io fossi suo ospite a pranzo. Così mi condussero nella sala dell’appartamento indietro nel tempo, e là il mio sogno continuò: mi fecero accomodare a capo di un meraviglioso tavolo in legno, lungo lungo, apparecchiato solo per me. Tovaglia di Fiandra, argenteria pesante, cristalli per i liquidi. Davanti a me le finestre aperte davano sulla magia del Golfo. E dietro l’altro capo del tavolo, al muro, era appoggiata una pendola, nel suo moto definito, tac, tac, tac. Dietro il vetro, insieme alle lancette, una scritta dorata: Tempus Fugit. Non ricordo cosa mangiai. Ricordo però che era tutto buonissimo. Alla fine, un altro benefico caffè. Lo bevvi ad occhi chiusi, assaporando lui e il silenzio. 
Poi ridiscesi in cantina a finire il lavoro. 
Tornai a Roma in serata e il giorno appresso, portai la mia relazione a xxx. Lui non c’era; lasciai quindi la busta alla segretaria. 
Tutto qui, anzi no. 
Sabato, due giorni fa, ha suonato il campanello della casa dove respiro in questo periodo, qualcuno. A domanda, risponde che ha qualcosa per me da parte di xxx. 
Giuro, ci ho messo una trentina di secondi per focalizzare il tutto e chi era xxx. 
Sono sceso e una distinta anima, si è presentata a me, come messo dell’amico di mio padre e mi ha consegnato un pacchetto ed una lettera. L’ho ringraziato con simpatia. Lui anche e se n’è andato. 
Nella lettera tanti bei pensieri e parole affettuose; proprio non me l’aspettavo; mi sono commosso. 
Sapendo che tipo è xxx, per me il regalo era già la lettera; oltre alle parole, una richiesta alla fine, vicino alla firma: la beva, non la venda. 
Ho aperto il pacchetto con grande emozione e lentezza e quando mi è apparsa la bottiglia, quasi sono svenuto. 
L’ho bevuta ieri, domenica, tutta, bicchiere via bicchiere, solo con dell’ottimo pane come abbinamento. 
Ed a ogni sorso, un augurio: ad ogni anima amica, ad ogni situazione vissuta, ad ogni emozione, ad ogni peso, alla poesia, ai pianti, al cibo, alla pazzia, alla vita, a me.

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