Il Lavoro, di Andrea Quadrani


Guardò le sue mani, i palmi e il dorso, le dita, le nocche; tutte le membra parevano avessero lavorato il triplo del tempo reale. Che comunque non si ricordava quasi più. Aveva iniziato a lavorare a sedici anni e adesso ne aveva quasi sessanta. Sempre lavorato. Sempre nello stesso settore: agricoltura. Facendo parte di una famiglia di agricoltori, era ovvio che anche lui cadesse nella rete delle tradizioni. Forse non era tanto ovvio; per lui era stato così.  
Agricoltura. Le sue mani lo provavano; bitorzolute, rovinate, dolenti, rosse, piene di piccoli tagli e abrasioni ovunque; sotto le unghie, era da sempre vissuto un arcobaleno di terre di ogni tipo, che faceva sempre fatica a togliere. Nessun sapone lo aiutava.  
Tutte queste cose erano però la prova che era un Lavoratore, di quelli tosti e infaticabili. Ogni anno cambiava posto di lavoro, tradizione familiare anche questa; quelli che lo assumevano non avevano bisogno di chiedere referenze: sapevano già tutto di lui; la voce, in quell’ambiente, si spargeva presto; anche al contrario, sui padroni e le condizioni di lavoro. Come adesso, come sempre.  
Diede la mano perciò, senza esitare all’omino, che lo aveva assunto per quell’anno. L’aveva mandato là un conoscente fidato e lui per essere sicuro per bene, aveva preso debite informazioni. Era un tipo a posto; aveva comprato da poco un bel terreno a picco sul mare di un piccolo comune, nel Parco Nazionale delle Cinque Terre, per coltivarci basilico; data l’inclinazione incredibile del terreno, non si poteva lavorare con nessun tipo di macchina; bisognava fare tutto a mano.  
Perciò eccolo qua: esperto agricoltore. Il padrone pareva una strana persona, più che altro, per la vista sfuggente: non ti guardava mai negli occhi quando ti parlava; aveva imparato negli anni a diffidare di queste persone; il conoscente e le sue informazioni dicevano altro e lui si era sempre fidato di questo e della sola stretta di mano, anche per il compenso; senza firmare niente; d’altronde non avrebbe potuto: non sapeva leggere ne scrivere.  
In quel periodo di marzo la luna era crescente, momento buono per il basilico; il terreno era già abbastanza caldo, come vuole la pianta. Aveva già lavato i semi e divisi da fecondi a no, lasciandoli in bacinelle per mezza giornata: tutto quello che affondava, lo prendeva e lo metteva da parte; erano i semi migliori. L’esposizione al sole era perfetta, a sud con il caldo e il bel vento del mare che aiutavano sì il basilico, ma anche le persone. La vista da lassù era meravigliosa.  
Spesso, quando il cielo era limpidissimo, si scorgeva là in quella direzione, la Corsica. Era una benedizione sudare e lavorare in un luogo così. Si sentiva bene. In pace.
Il campo era grande a sufficienza per il lavoro di un solo uomo. 
Iniziò a incorporare con la vanga, letame maturo al terreno. Poi bucò il terreno formando delle piccole buchette, degli alveoli, dove mise tre semi in ognuna. Poi innaffiò per bene e iniziò a seguire il ritmo naturale della pianta e le sue necessità. 
Essendo il basilico una pianta molto produttiva, optò, con il consenso del suo padrone, per una coltivazione scalare: quando le piantine erano delle dimensioni che voleva il padrone, si toglievano dalla terra e si continuava con le altre. A luglio si raccoglieva tutto e a settembre, gli eventuali semi da usare, o subito in serra o l’anno successivo nel campo. 
I giorni passavano quindi così, tutti simili o uguali, ai precedenti e ai futuri. Le piante di basilico crescevano bene. Le curava tutti i giorni, tagliando loro le cime, per impedire la crescita dei fiori e il deperimento quindi delle foglie; le annaffiava spesso di acqua e quando ciò avveniva, le piantine ringraziavano, emanando un bellissimo profumo nell’aria.
La sua abitazione era una misera capanna degli attrezzi, come lo era lui in un certo senso, dotata di tutto quello che serviva per la vita del contadino e poco altro. Le piantine di basilico erano la sua vita, almeno fino a settembre, lui era un professionista e solo questo era importante. Professionalità, onestà, umiltà; così le voci sul suo conto, non potevano che essere positive.  
Il tempo, la crescita del basilico e la sua stanchezza, continuavano inarrestabili e nella clessidra che era nella sua testa, la sabbia fine stava terminando il suo viaggio a sud.  
Arrivò finalmente il momento della raccolta di tutte le piante; erano tolte dal terreno e appoggiate su dei contenitori di polistirolo, con dell’acqua sul fondo; erano così tante che stavano tutte in piedi; poi i contenitori erano appoggiati su un furgoncino scoperto, uno per volta con delicatezza; uno per volta. Il lavoro lo fece tutto lui; chi altro sarebbe servito? Poi il camioncino partì.
Prese una sedia di legno da dentro il capanno, la piantò nel punto dal quale la vista sul mare era migliore e vi si accomodò sopra. Si sentiva stanchissimo. Dopo qualche istante si accorse del rumore di una macchina che si avvicinava a lui. Si girò senza alzarsi. Era il padrone. Sarebbe stato pagato. La macchina si fermò e l’omino scese e con un bel sorriso in viso, sgambettò verso di lui.  
- Scusi se non mi alzo, padrone, ma mi sento molto stanco.  
- Non c’è problema, non c’è problema, stai tranquillo. Hai fatto proprio un gran lavoro in questi mesi per me.  
Gli strinse per un attimo la mano e dopo averla lasciata, lo guardò negli occhi. Occhi neri preoccupanti. Le parole seguenti parvero uscire proprio dagli occhi.  
- Proprio un bel lavoro. Un lavoro impagabile.  
Il padrone si girò, camminò alla macchina, salì e partì.  
Lui restò immobile come folgorato dall’ultima parola e dal suo doppio significato.  
E si girò verso il mare, per ammirarne il candore.

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