L'appuntamento di Andrea Quadrani



La notte la passai insonne. Probabile non per quello che sarebbe accaduto l’indomani mattina; forse anche per quello sì. Avevo mangiato un po’ pesante la sera precedente: peperonata e zucchine trifolate; con quei cibi, i sogni si erano adeguati e la mattina mi sentivo proprio una ciofeca. Quel giorno che si apriva a me, con tutti gli interrogativi che sorgono insieme al sole, aveva per me una valenza inquietante. Un’azione che si svolgeva ogni mese e che metteva a dura prova fisico e mente era alle porte, ed io non potevo evitarla in nessun modo. Mi fiaccava giacché sono una donna mingherlina e poco robusta e le mie mani, con l’artrite che avanza, sempre più deboli. Con i soliti pensieri negativi roteanti in testa, mi alzai dal mio letto matrimoniale, soffice giaciglio che ogni notte si prendeva cura di me, al posto di un uomo che non c’era mai stato. Andai in bagno e, passando davanti allo specchio, vidi il viso di una donna invecchiata e triste; ero proprio io diventata così, oppure erano stati i peperoni? Quando ritornai davanti allo specchio, ero leggermente meno triste, rughe e increspature solcavano come tanti piccoli rii, il mio viso tondo. Lavandomi guardavo le mie mani di continuo, piccole piccole mani di una piccola donna. Andai in cucina con malcelata svogliatezza e il caffè usci dalla cuccuma nel medesimo modo. Ero in sintonia col mio mondo. Fuori era tutta un’altra cosa, a cominciare da quel primo fatto, che come le altre volte, avrebbe forse, frantumato, l’aspettativa minima che avevo io della giornata. Mi sentivo molto sciocca a volte per quei pensieri ma, la situazione non aveva mai tradito o forse ero io che essendo sicura dello svolgersi delle situazioni sempre alla stessa maniera, facevo si che in qualche modo, chissà, con l’aiuto del fato, non mi aiutavo, ma mi complicavo la vita. a volte per vere scemenze. Quella era una scemenza. Tutti me l’avevano detto. Come se ‘tutti’ sapessero com’ero io, cosa sentivo, come stavo. Consigli non richiesti mi arrivavano come valanghe di parole e, oltre a non sapere come replicare, mi sentivo anche inutile. Dopo la magra colazione, torno in camera e aprendo l’armadio, fingo di scegliere un vestito adatto. Inutile. Mi metterò sempre lo stesso vestitino a fiori di mia nonna, per cercare di mimetizzarmi nel mondo là fuori. Con quel vestito addosso mia nonna nella sua epoca era molto avanti. Io mi sentivo terribilmente indietro. Ma non cambiavo. Mi sedetti sul letto per mettermi le solite scarpette e dopo aver messo due cianfrusaglie nella mia fida borsetta nera, uscii.

Ogni mese dovevo percorrere quella strada per l’appuntamento a me destinato. Uscivo poco da casa e quando lo facevo, non camminavo mai in questa direzione. Così ogni mese potevo cogliere le differenze lungo il percorso. Come quel gioco della ‘Settimana Enigmistica’ di cui adesso non ricordo il nome. Giardini, case con bei balconi, l’asfalto della strada con nuove buche, le piste ciclabili rosse. Qualcosa era cambiato. Fuori era proprio un altro mondo. Arrivai alla strada principale; era molto trafficata e pur sulle strisce pedonali, ebbi qualche difficoltà ad attraversare. Il mio obiettivo era ormai nel mio campo visivo. Mi fermai un attimo per respirare. Mi girava un poco la testa e il cuore batteva fuori sincrono. Cercai con degli ampi respiri di riportarmi alla calma. Appena trovato un minimo di controllo, salii i cinque gradini davanti a me, aprii con notevole difficoltà la pesante porta d’ingresso e mi misi retta di schiena davanti al vetro. Esitante alzai un dito, pregando che non accadesse la stessa cosa di sempre e premetti il piccolo pulsante quadrato; il vetro si mosse ed io feci un passo in avanti, proprio mentre il vetro, bello svelto, tornava da dove era venuto. Una voce metallica e severa m’impose di mettere il mio dito su un minuscolo mattoncino sagomato. Lo feci, mentre piccole scie di sudore scendevano dalle mie tempie increspate. Dopo un eterno attimo di attesa, la voce metallica e severa mi redarguì dicendo che il dito non era stato premuto bene e aggiungendo che dovevo lasciare gli oggetti metallici, fuori, negli appositi cassetti, ma il vetro non si aprì.

Era accaduto: come ogni mese ero rimasta incastrata nel tornello della banca dove arrivava mensilmente la mia pensione.

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