Rifiuti, di Andrea Quadrani


La parola ‘rifiuto’ da qualche tempo mi gira in testa ed ho pensato che, chissà per quale incredibile coincidenza, sia legata in qualche modo, a questo meraviglioso mese di dicembre. Condivido i miei pensieri. 
Rifiuto di festeggiare il Natale, da parte di qualcuno, come una festa di gioia (finta), per poter sollevare la propria anima o il proprio io, sopra il mare di merda, in cui sguazza il resto dei giorni dell’anno. 
Ri – fiuto; ossia fiutare di continuo gli innumerevoli profumi che caratterizzano il periodo: degli agrumi; dei frutti secchi; delle opere lievitate; delle anime per la strada; dei brodi; delle carni da sbafare; della neve che sta per cadere e quando cade; delle erbe morte e vive. 
Rifiuto di guardare tutto quello che può turbare la vista, che in questo periodo deve essere limpida e pulita: barboni puzzolenti per le strade; bivacchi notturni di chi una casa non ce l’ha (ma la fortuna gira si sa); gentaglia che chiede l’elemosina (veri e finti poveri); anime moleste; animali dispersi; brutti colori che contrastano l’allegria delle mille luci accese in ogni dove, tranne nel luogo più importante, il proprio cuore. 
Rifiuti che si faranno durante le feste comandate (da chi poi?); tonnellate di rifiuti di ogni tipo, il più delle volte ancora utilizzabili: mangiabili, bevibili, godibili. Ma si sa, le feste portano con loro anche questo, come è possibile fare senza? 
Rifiuto, da parte di qualche anima dissennata, di spargere e raccogliere, finti auguri; finti ‘a lei e famiglia’, quando magari la famiglia non c’è; finti regali, che Bisogna proprio farli, è obbligatorio, è il rito; finto amore verso il prossimo; finti pensieri durante le Messe. Poi quando le luci si spengono e i rutti chiudono i bagordi, tutto rientra nella cazzo di normalità. Ma si sa, a natale si deve essere tutti più buoni; il resto dell’anno, si resta più stronzi. 
Rifiuto di non cedere alla tentazione di spegnere il cervello, e dimenticarsi di tutto il resto del mondo, da, diciamo, mezzo dicembre, fino al sette gennaio dell’anno che arriva: evviva evviva per l’anno nuovo! 
Rifiuto di ricordarsi che quei tre disgraziati duemila anni fa, erano profughi in fuga e, così come accade oggi, anche allora non trovarono riparo. 
Rifiuto di pensare che i componenti dei presepi, che una massa di anime turbate, vuole difendere come ‘nostra tradizione da rispettare’, erano pastori palestinesi, sporchi e puzzolenti e che i tre di cui sopra, si ripararono in una grotta, in una stalla, con l’alito di un asino e di un bue come riscaldamento e paglia come pavimento; le anime turbate dovrebbero provare l’esperienza, decisamente mistica. 
Rifiuto di non pensare ai moltissimi vecchietti ‘dimenticati’ dalle famiglie, negli ospedali e nelle case, che passeranno nella solitudine queste sacre feste. 
E ce ne sarebbero ancora di rifiuti, lo so; mi fermo qua però, riservandomi di riprendere l’argomento magari con l’uccellino-mangiatore-di-briciole o di qualcun’altra anima al pari livello del ‘sentire’. 
Però in questo tempo, il rifiuto di tutto questo, per me, è mettere in atto la contro-rivoluzione del Natale; riportarlo su una strada di sobrietà e di buon gusto, che si sono persi chissà quando oramai, ma che però, scavando scavando si possono recuperare, dagli animi, dai cuori. Non sono scomparsi. Sono là sotto, da qualche parte in compagnia dei sorrisi e dei buoni sentimenti; sono sommersi da un mare di letame formatosi negli anni, che si può però spazzare via. Si Deve a mio parere. Per tornare alla normalità. Per tornare alla umanità.

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